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Le contraffazioni dei prodotti ittici

Per prodotti ittici intendiamo:

  1. i pesci di acqua salata e dolce (merluzzi, triglie, sardine, trote, salmoni, ecc.)
  2.  i molluschi cefalopodi senza conchiglia o con conchiglia interna (calamari, totani, seppie, polpi)
  3. I molluschi gasteropodi con conchiglia a una sola valva (lumaca di mare, patella)
  4. I molluschi lamellibranchi con due valve ( cozze, vongole, ostriche, telline, ecc.)
  5. I crostacei (aragoste, astici, gamberi, ecc,)

SENZA ZUCCHERI AGGIUNTI: COSA SIGNIFICA DAVVERO?

saccarosio

Agli sportelli dell’UNC è arrivato un quesito circa il reale significato della dicitura “senza zuccheri aggiunti”, facciamo chiarezza.

 

La dicitura “senza zuccheri aggiunti” nelle etichette

La dicitura “senza zuccheri aggiunti” presente sulle etichette di molti prodotti alimentari confezionati è accattivante soprattutto per chi, per motivi di salute o semplicemente di linea, vuole o deve ridurre l’assunzione di zuccheri.

Si tratta in realtà di un messaggio fuorviante per il consumatore in quanto l’almento contiene “soltanto” gli zuccheri naturalmente presenti  e non c’è aggiunta del saccarosio, ovvero del comune zucchero da tavola.

Colombe e uova pasquali in tempo di Covid

La “clausura” dovuta al Covid con ogni probabilità ci costringerà a modificare il modo di festeggiare il periodo pasquale e in particolare il consumo dei dolci tipici del periodo. Probabilmente quest’anno saranno in molti a prepararli in casa con un incremento della produzione di ciambelloni, pastiere, torte , crostate, ecc. che almeno in parte andranno a sostituire le classiche “colombe” che di norma acquistiamo nei negozi.

Questa situazione sta creando molte preoccupazioni nell’industria dolciaria e tra gli artigiani pasticceri che prevedono un calo delle vendite di circa il 30 %. Le prime avvisaglie ci sono state perché la grande distribuzione sembra che abbia disdetto molti ordini.

La “colomba” può chiamarsi tale soltanto se prodotta secondo quanto previsto dal DM 22.7.2005 (pubblicato nella GU 177 del 1.8.2005) successivamente modificato con il DM 16.5.1977.

In particolare la “denominazione «colomba» è riservata al prodotto dolciario da forno a pasta morbida, ottenuto per fermentazione naturale da pasta acida (lievito madre) , di forma irregolare ovale simile alla colomba, una struttura soffice ad alveolatura allungata, con glassatura superiore e una decorazione composta da granella di zucchero e almeno il due per cento di mandorle, riferito al prodotto finito e rilevato al momento della decorazione”.

Riprodurre in casa queste condizioni di produzione non è molto agevole; tali difficoltà sono praticamente insormontabili per alcune  “variazioni” sul tema delle colombe come la farcitura con creme, la glassatura o, addirittura, l’aromatizzazione con aceto balsamico, che richiedono l’intervento di abili pasticceri.

Per le uova di cioccolata non abbiamo invece alternative all’acquisto negli esercizi commerciali. Generalmente non si fa molto caso alla qualità del cioccolato, al suo peso e al costo unitario. Generalmente restiamo abbagliati dalle confezioni e dalla segreta speranza di trovare delle sorprese interessanti.

Ricordiamo che la qualità del cioccolato dipende dalla quantità di cacao che contiene e quello fondente ne contiene bene più del 50% ed è il migliore.

Il prezzo delle uova non sempre è in funzione della sola qualità del cioccolato ed è molto variabile. Il prezzo medio al kg si attesta intorno ai 50 euro, ma ci sono delle forti oscillazioni e possiamo trovare delle uova che costano anche ben oltre i 100 euro al kg.

I motivi di tali oscillazioni sono legati al “brand”, alle dimensioni delle uova e anche all’”originalità” del prodotto.

Alcune marche sono particolarmente costose e sono rivolte a una clientela di nicchia; in questi casi si enfatizza sulla qualità del cioccolato e sulla “griffe” dell’azienda.

Molto importante è la dimensione delle uova che è inversamente proporzionale al prezzo: il costo unitario al Kg è decisamente maggiore per le uova più piccole. Un uovo della stessa marca di 100 grammi può costare al kg sensibilmente più di un uovo da 250 grammi.

C’è poi l’originalità del prodotto che può variare in funzione della modalità di  confezionamento, della forma stessa delle uova e anche nella “promessa” della sorpresa. Si assiste quindi a una profusione d’imballaggi variopinti che poco o nulla aggiungono alla qualità o alla sicurezza delle uova. A questo proposito quello che conta è l’imballaggio (quasi sempre di alluminio) che avvolge l’uovo. Il resto è un contenitore spesso inutile e che serve a riempire i cassonetti dell’immondizia.

In commercio, soprattutto quello elettronico, ci si può imbattere in “prodotti”, impropriamente chiamati uova pasquali, dalle forme e dai contenuti molto originali e spesso anche di pessimo gusto che poco hanno a che vedere con il loro significato simbolico originale.

 

Qualche consiglio per gli acquisti.

Colombe. Possono chiamarsi “colombe” soltanto i dolci industriali o artigianali prodotti secondo quanto prescritto dalla legge; dalla lettura delle etichette è facile accertare la loro “originalità”. Per chi dovesse essere allergico a qualche prodotto si consiglia di leggere attentamente l’elenco degli ingredienti per capire se c’è qualcosa che può fargli male.

Ci sono in commercio dei dolci a forma di colomba destinati ai vegani che nulla a che vedere con quelle “tradizionali” e che comunque sono correttamente descritti come “dolce di Pasqua”.

 

Uova di cioccolato.

Attenzione alla data di scadenza del prodotto e alla qualità del cioccolato: solo il “cioccolato puro” non contiene oli tropicali o altri grassi vegetali; in caso contrario, deve essere riportata la dicitura “contiene altri grassi vegetali oltre al burro di cacao”, dicitura che deve essere ben visibile e chiaramente leggibile in modo da essere di facile e immediata consultazione per il consumatore. Se poi l’etichetta riporta l’indicazione cioccolato “finissimo” o “superiore”, il contenuto di cacao deve essere almeno il 43%, mentre se nell’elenco degli ingredienti è dichiarato “cioccolato comune”, la qualità è più scadente poiché il cacao è il 25% e l’uovo di Pasqua dovrebbe costare di meno.

E arriviamo agli sconti. Sia per le uova di cioccolato, sia per le colombe, non sempre i commercianti rispettano i prezzi indicati, ma utilizzano forti sconti utilizzandoli  come prodotti “civetta” per indurre il consumatore a comprare anche altro. Gli sconti divengono notevoli con l’approssimarsi della domenica di Pasqua per poi crollare subito dopo: in pratica si finisce con il pagare non tanto l’alimento quanto l’oggetto. Il consiglio è quello di approfittare delle occasioni, ma sempre leggendo con molta cura le indicazioni riportate in etichetta.

Non rimane che augurare Buona Pasqua a tutti, nella speranza che il prossimo anno sia più serena.

Vongole veraci biologiche

Il termine “verace” evoca in molti di noi l’immagine di una vongola che ha a che fare con il Golfo di Napoli e che rappresenta l’ingrediente principe degli straordinari “spaghetti alle vongole”.L’autentica “verace” è la vongola indigena dei nostri mari Ruditepes decussatis; da una trentina di anni è stata introdotta negli allevamenti di

E’ utile conoscere l’origine del pomodoro con cui sono fatte le conserve?

Il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali con un DM ha introdotto, a titolo sperimentale l’obbligo di indicazione dell’origine dei derivati del pomodoro. Il DM è provvisorio perché la sua definitiva applicazione è subordinata a un “via libera” che dovrà essere rilasciato dalla Unione Europea. Il Ministro Martina, nel presentare il provvedimento, ha fatto rilevare  che le nuove etichette aiuteranno a rafforzare i rapporti tra chi produce e chi trasforma e in questo modo si tutelano non solo i nostri prodotti, ma anche il lavoro delle nostre aziende e i consumatori.

L’etichetta delle bevande alcoliche

Il Regolamento 1169/2011 definisce le modalità con cui debbono essere “etichettati” gli alimenti. Sono però rimaste fuori le bevande alcoliche con un contenuto di alcol superiore al 1,2 % , quindi per il vino, la birra, gli aperitivi alcolici, i superalcolici, ecc. non è previsto di indicare gli ingredienti e il valore nutrizionale. Si tratta di una situazione transitoria che deve essere “armonizzata” con gli altri alimenti; infatti “consideranda” del Regolamento al punto 40 si dice: