Pesce povero: una ricchezza sprecata

Agostino Macrì
28 Febbraio 2017
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Il variopinto mondo dei dietisti, nutrizionisti, cuochi ed affini ci invita a consumare i prodotti ittici sia per il loro valore nutrizionale, sia perché costituenti fondamentali della dieta mediterranea. Queste raccomandazioni sono state ben recepite da chi produce e mette in commercio gli alimenti ittici mettendo a disposizione dei consumatori prodotti di ottima qualità, facili da consumare e prezzi alle volte al limite della decenza commerciale.

Sul mercato troviamo infatti pesci, molluschi, crostacei sia freschi che trasformati di gran pregio, ma anche, seppure in misura minore, prodotti che costano meno e che spesso per questo motivo sono ritenuti di scarso pregio anche nutrizionale.

Siamo abbagliati da alcuni pesci di mare (spigole, tranci di merluzzo, ecc.) dal salmone affumicato dei mari del Nord, dalle aragoste, dal tonno in scatola in filetti, i filetti di pesce persico; spesso “snobbiamo” le alici, le sarde, i cefali, le trote e anche altri pesci di allevamento senza renderci conto che le differenze da un punto di vista nutrizionale sono quasi inesistenti.

Ai commercianti è sicuramente più vantaggioso vendere pesci di pregio in quanto a parità di peso c’è meno lavoro da fare ed i guadagni sono superiori.

Anche ai sempre più rari consumatori (o meglio consumatrici) che cucinano in casa fare una una spigola al forno è molto più semplice che “spinare” un kg di alici da friggere.

Anche ai ristoratori conviene vendere un bel pesce arrosto con patate di relativa facile preparazione e di costo elevato, che una frittura di paranza da cuocere espressamente con impegno di personale, ma che costa spesso meno della metà.

Come è facile comprendere questo stato di cose ha spostato in modo significativo i gusti alimentari degli italiani ed ha anche condizionato le attività della pesca. I nostri pescatori sono stati costretti a catturare prevalentemente pesci di pregio ed hanno dovuto anche subire la concorrenza selvaggia dei pescatori giapponesi che hanno depredato il tonno rosso del Mediterraneo.

La nostra acquacoltura non riesce ancora a decollare, ma deve difendersi da legacci burocratici e concorrenze più o meno lecite di produttori di altri Paesi.

 Le conseguenze sono state drammatiche in quanto c’è stato un forte depauperamento delle nostre risorse ittiche e siamo stati costretti a massicce importazioni di pesci, molluschi e crostacei stimando che al momento attuale ammontano a circa il 70 % dei nostri consumi.

La situazione è resa ancor più drammatica ove si consideri che molto pesce pescato nei nostri mari (probabilmente intorno al 15 %) viene buttato perché non trova sbocchi nei mercati nazionali.

Si tratta prevalentemente di pesce azzurro (alici, sardine, cefali, ecc.) che pur avendo delle ottime caratteristiche nutrizionali, di fatto non viene consumato. Le ragione di questo disastro vero e proprio sono diverse.

Molto spesso si tratta di pesci che sono presenti in abbondanza soltanto in determinati periodi dell’anno e non sono adatti per la grande distribuzione che invece vuole la presenza dello stesso prodotto per tutto l’anno.

Quando arrivano sui mercati spuntano dei prezzi molto bassi e per i pescatori può risultare più conveniente sbarazzarsene.

Sono conosciuti prevalentemente dalle popolazioni costiere di alcune regioni che li sanno cucinare e/o conservare. Peraltro cucinarli, come accennato, sia a livello domestico che nei ristoranti, richiede abilità e, soprattutto, molto tempo.

Insomma può risultare paradossalmente più conveniente “sprecare” una importante risorsa alimentare piuttosto che mangiarla.

Il problema è ben presente al Ministero delle Risorse Agricole che ha deciso di finanziare un progetto che ha preso il nome di “pappa fish”. L’idea è molto semplice e consiste nell’inserire nei menu delle mense di alcune collettività (scuole, ospedali) il “pesce povero”; alcune aziende si sono organizzate nel lavorare questo pesce trasformandolo in filetti, polpette ecc. che vengono poi serviti nelle mense.

I vantaggi sono molteplici. Si serve infatti un prodotto fresco di ottime qualità nutrizionali e con costi piuttosto ridotti. I pescatori riescono a “piazzare” il loro pescato “povero” a prezzi accettabili e infine si educano  i consumatori a mangiare bene e sano.

Il progetto ha avuto un buon successo e l’intenzione è quella di ripetere l’iniziativa in una scala più ampia.

Sostituendo i filetti di pangasio e i bastoncini surgelati con dell’ottimo pesce azzurro si insegna a mangiare meglio, si da un consistente aiuto alla nostra asfittica pesca e anche ad evitare degli sprechi. Per dirla come un messaggio pubblicitario: “ma cosa vuoi di più dalla vita?”. Forse soltanto una maggiore sensibilizzazione da tutti i cittadini a consumare l’ottimo pesce di “scarto” dei nostri mari.

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