Ci possiamo fidare dell’agricoltore?

Agostino Macrì
7 Marzo 2017
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Con un Decreto Legislativo del 2001 gli agricoltori sono stati autorizzati a vendere direttamente ai cittadini i loro prodotti sia come materie prime sia trasformati. In pratica il contadino può vendere la verdura, la frutta, la carne, il latte da lui prodotti, ma anche le marmellate, il formaggio o i salumi che ottiene da lavorazioni artigianali nella propria azienda senza particolari vincoli per quanto riguarda le strutture ed il personale utilizzati per la vendita. Ovviamente deve rispettare tutte le norme previste dalla legge per garantire la sicurezza igienico sanitaria ai prodotti che mette in vendita. Benefici importanti  sono un regime fiscale agevolato ed anche la possibilità di vendere una percentuale di prodotti “estranei” alla propria azienda. Con la vendita diretta si saltano le varie intermediazione e quindi i costi si riducono molto; insomma si tratta di un sistema che sembra essere molto utile per la nostra asfittica “agrozootecnia” e, almeno teoricamente, anche per i consumatori. Nella maggior parte dei casi non si tratta di prodotti tipici (DOP, DOC, IGP, ecc.) e neanche di prodotti biologici che, come è noto, per potersi fregiare delle specifiche denominazioni debbono essere preventivamente controllati dai consorzi (prodotti tipici) o da enti di certificazione (prodotti biologici). Tutte le produzioni agricole e zootecniche sono sotto controllo, ma un ruolo importante e fondamentale è rappresentato dal contadino e dall’allevatore che deve lavorare con scrupolo ed osservare le norme di legge in materia di concimi, pesticidi, farmaci veterinari, ecc. Nei casi in cui gli alimenti passano attraverso i mercati generali o direttamente alla grande distribuzione, ci sono dei controlli aggiuntivi che invece mancano nell’acquisto diretto dal produttore. Sulla base di quanto detto è molto importante il rapporto di fiducia che si instaura tra cliente e venditore ed è chiaro l’interesse proprio del venditore a “fidelizzare” il cliente. Un aspetto che dovrebbe essere chiarito riguarda la vendita degli alimenti non prodotti in azienda e magari acquisita ai mercati generali Quando viene messa in vendita frutta esotica è facile capire che non si tratta di produzioni aziendali. Quando invece si tratta di mele, carciofi, pomodori, frutta secca, ecc., non tutti sono in grado di capire se effettivamente si tratta di prodotti “aziendali”. Se una azienda non ha le serre è difficile che produca pomodori, melanzane, zucchine o fagiolini nel mese di febbraio. Altrettanto difficilmente potrà produrre salumi e formaggi senza adeguate strutture di trasformazione. Il consumatore dovrebbe poter avere la possibilità di visitare l’azienda e rendersi conto di persona di cosa si sta producendo in quel momento. Come accennato la via d’uscita per il venditore è la possibilità di cedere anche prodotti extraaziendali. E qui può nascere l’inganno. Per andare incontro ai desideri dei propri clienti il contadino può acquistare quello che non produce al mercato generale e metterlo in vendita. Per una maggiore trasparenza sarebbe opportuna una separazione tra gli alimenti sia di produzione aziendale e quelli “esterni”. In questo modo il consumatore ha la possibilità di scelta e magari alcuni prodotti può acquistarli dove ritiene più conveniente. A parte la separazione dovrebbe essere necessario definire le quantità massime di prodotti extra aziendali che si possono vendere. Può sorgere il sospetto che qualche contadino mette in vendita una minima quantità dei suoi prodotti ed il resto lo acquista. Si tratterebbe di una frode ai cittadini ed anche di concorrenza sleale nei confronti dei commercianti che vendono le stesse cose pagandoci sopra le tasse. Ai Ministri competenti, a cui si trasmette questa nota, si richiede di chiarire se esistono dei limiti nella vendita di derrate alimentari di produzioni extra aziendali e quali iniziative sono in atto per controllare le attività di vendita diretta.
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