Quale futuro per la ricerca italiana?

Agostino Macrì
17 Febbraio 2016
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I risultati delle ricerche scientifiche disponibili dimostrano che il consumo di soia Geneticamente Modificata (GM)  da parte degli animali da allevamento, non comporta modifiche nella composizione del latte, della carne e/o delle uova prodotte, rispetto e a quelle ottenute alimentando gli animali con la soia “tradizionale”. Il Prof. Infascelli e i suoi collaboratori dell’Università di Napoli, hanno pubblicato i risultati di studi che dimostrerebbero la presenza di frammenti del DNA OGM nel latte di capre alimentate con la soia GM. I risultati di questi studi sono stati contestati in quanto ritenuti falsificati, ed i ricercatori coinvolti con ogni probabilità subiranno delle sanzioni. Quanto successo merita un’analisi e dei commenti. Sugli OGM in generale il mondo scientifico è sostanzialmente favorevole al loro studio e, nei casi in cui è ne dimostrata l’efficacia e la sicurezza, favorevoli anche al loro impiego. Esistono ormai decine di “prodotti” ottenuti con tecniche OGM regolarmente utilizzati anche in Italia (insulina, ormone della crescita, mais, colza, cotone, soia, solo per citarne alcuni). Il loro impiego pratico è stato reso possibile grazie a ricerche fatte in gran parte dai produttori e a valutazioni fatte da autorevoli organi scientifici indipendenti. Incredibilmente, e sotto la spinta di ideologie propugnate da movimenti di opinione,  in Italia non è possibile fare ricerche scientifiche che riguardino gli OGM in campo alimentare. Si tratta di una decisione politica che sta penalizzando non soltanto i nostri ricercatori, ma anche la nostra economia. (Leggi a riguardo OGM: il vero pericolo è la disinformazione) Entrando nel merito della ricerca, se fossero veri i risultati pubblicati, non si capisce quale sia il pericolo del passaggio di frammenti di DNA “OGM” nel latte delle capre. La stessa cosa potrebbe avvenire con altri alimenti (esempio mangimi e/cibi esotici) di cui in modo diretto o indiretto ci cibiamo o ci ciberemo senza nessun problema per la salute.. Quindi, anche se la ricerca fatta potrebbe aprire nuovi orizzonti e dare dei risultati forse interessanti da un punto di vista scientifico, allo stato dei fatti sembra restare nell’ambito di una ricerca di base che forse non è prioritaria. L’aspetto più grave è però quello della presunta falsificazione dei dati: probabilmente nessuno se ne sarebbe accorto se non si fosse trattato di un argomento “sensibile”. Qui entrano in gioco la professionalità dei ricercatori e di chi dovrebbe verificare la veridicità dei risultati ottenuti. Gli Istituti di ricerca dovrebbero avere un Comitato Etico che autorizzi le sperimentazioni e ne valuti i risultati. Nel caso in questione c’è stato questo controllo? Le redazioni delle riviste scientifiche si avvalgono di “referees” che hanno il compito di valutare la correttezza dei risultati da pubblicare. E’ possibile che nessuno se ne sia accorto ? Si può pensare che i ricercatori siano stati “abbandonati” a se stessi e alla loro indipendente “leggerezza” ? A questi interrogativi è difficile dare una risposta, però sembra utile fare qualche considerazione sullo stato della ricerca scientifica in Italia, sostenuta con i soldi dei cittadini. Nel solo settore degli alimenti e dell’alimentazione esistono centinaia “strutture di ricerca” che lottano quotidianamente per la loro sopravvivenza. I ricercatori sono costantemente impegnati per trovare risorse economiche e passano gran parte del loro tempo a scrivere progetti per partecipare a bandi di ricerca. Difficilmente i vari Centri riescono a coordinarsi e quasi sempre prevale la lotta per la sopravvivenza; la situazione diviene drammatica quando bisogna partecipare a bandi internazionali dove si concorre con Istituti stranieri ben organizzati che possiedono strutture con la sola funzione di scrivere progetti. Una risorsa è quella dei finanziamenti dall’industria alimentare. La cosa è resa difficile sia dal fatto che molte aziende italiane sono state assorbite da multinazionali che hanno attrezzati Centri di ricerca all’estero, sia dalla sciocca ideologia imperante secondo cui non è corretto collaborare con l’industria. Intanto i nostri migliori “cervelli” purtroppo e forse giustamente se ne vanno. La situazione è disastrosa, ma forse se ne potrebbe uscire riducendo e concentrando drasticamente i Centri di ricerca pubblica; i superstiti dovrebbero essere adeguatamente potenziati in termini di risorse umane e finanziarie. Bisognerebbe creare una “cabina” di regia in grado di sostenere il pesante fardello burocratico cui sono soggetti  i ricercatori. Forse trovando delle soluzioni di questo tipo si potrebbero ottenere risultati migliori ed evitare episodi che possono screditare tutto il sistema della ricerca in Italia. Tutto questo è forse un’utopia ?
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