Pecore come tosaerba

Agostino Macrì
28 Maggio 2018
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Anche se non tutti ne sono informati, Roma è un delle città più ricche di verde con i suoi tanti parchi, giardini e, soprattutto con le migliaia di ettari del suo “agro”. La vasta iconografia dei tempi passati ci mostra un ambiente romano popolato di animali e di pastori che vivevano a fianco delle tante vestigia; si può quindi facilmente intuire l’importanza che avevano pecore, cavalli, bovini, ecc. per l’economia della città. Gli animali erano importanti sia per il lavoro (trasporti, attività agricole, ecc.), sia per la produzione di alimenti come il latte e la carne. Con il tempo gli animali da lavoro hanno fatto posto alle auto e alle macchine agricole; la prodizione di carne, latte e uova è stata trasferita negli allevamenti lontani dalla città. Il panorama è quindi profondamente cambiato e soprattutto sono “saltati” gli equilibri ambientali preesistenti. Gli spazi verdi sono occupati da animali sotto “controllo” (cani e gatti in particolare) e soprattutto da animali “sinantropi” (ratti, piccioni, cornacchie, gabbiani a cui di recente si sono aggiunti i pappagalli e addirittura i cinghiali).

In questa situazione si è verificato un profondo degrado ambientale che ha consentito lo sviluppo disordinato della flora in cui le piante “infestanti” hanno avuto il sopravvento. Ciò è anche dovuto al fatto che non ci sono più i pastori e i contadini che per motivi utilitaristici tenevano “puliti” i loro campi e pascoli e il personale del “servizio giardini” è assolutamente insufficiente a mantenere in condizioni accettabili il decoro “vegetale” della città.

Per tentare di risolvere il problema le Autorità del Comune di Roma hanno lanciato la proposta di immettere le pecore, le capre e anche i bovini nelle aree verdi della città con lo scopo di farli alimentare con le “erbacce” che crescono in modo disordinato.

L’idea in linea di principio non è male: si tratta di animali ruminanti e quindi “vegetariani” se non addirittura “vegani” e di conseguenza “per fame” potrebbero eliminare tutte le erbacce.

La realizzazione è decisamente più complessa. In primo luogo è necessario tenere sotto controllo gli animali sia da un punto di vista sanitario veterinario (vaccinazioni, eventuali terapie, ecc.), sia per evitare che provochino danni invadendo spazi privati, strade, ecc.

Cosa succederebbe se le pecore, le capre e le mucche venissero messe a pascolare a Villa Ada, Villa Pamphili o Villa Borghese?

Alcune zone sono “infestate” da cespugli di rovi o di altre piante non commestibili neanche per i ruminanti; peraltro si tratta di aree difficilmente accessibili dove il “sottobosco” prolifera del tutto indisturbato.

Basta dare uno sguardo alle pendici del Campidoglio per capire le difficoltà che troverebbe le capre o le pecore a compiere il loro lavoro “diserbante”.

I vegetali sono presenti in abbondanza solo in alcuni periodi dell’anno e quindi bisognerebbe pensare a come sfamare gli animali in pieno inverno o, in alternativa, modificare il loro numero in funzione della stagionalità.

In poche parole è necessario un controllo attento da parte di persone esperte per evitare guai seri. Bisognerebbe “ripristinare” ambienti ormai scomparsi e riportare l’uomo sul territorio come “custode” dell’ambiente.

In molti portano ad esempio il Parco della Caffarella dove è presente un allevamento ovino. Ci sono anche attività agricole e basta farsi una passeggiata per capire che le cose vanno bene soltanto dove c’è qualche interesse imprenditoriale e non sono pochi gli spazi invasi dal degrado.

Forse la soluzione migliore potrebbe essere quella di affidare a privati cittadini degli spazi in cui possano coltivare ortaggi, fiori, frutta e magari allevare qualche animale. Certo bisognerebbe definire delle semplici regole di comportamento, ma i vantaggi per l’ambiente e il decoro urbano sarebbero probabilmente notevoli.

Fonte: La Stampa

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