“Medicina unica” in tempo di Coronavirus?

Agostino Macrì
15 Aprile 2020
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L’attuale emergenza epidemica del Coronavirus ha messo tutti noi di fronte ad una situazione imprevista che ci riporta indietro nel tempo quando le epidemie uccidevano milioni di persone.

Basta pensare all’influenza. Tra il 1918 e il 1920 la “spagnola” uccise nel mondo oltre 50 milioni di persone. L’asiatica nel 1954 ne uccise circa due milioni; le ultime influenze uccidono (solo in Italia) qualche migliaio di cittadini.

Eppure siamo stati “sfiorati” da influenze, come l’”aviaria” e la “suina” con potenziale di letalità dello stesso ordine di grandezza della spagnola che nel mondo hanno provocato un numero limitato di morti, ma il nostro Paese è rimasto indenne.

Il basso indice di letalità è dipeso dalle migliorate condizioni igieniche della popolazione, dallo sviluppo di vaccini e anche dalla disponibilità di farmaci in grado di combattere infezioni secondarie.

Un aspetto che spesso è ignorato riguarda le misure di prevenzione adottate per impedire la diffusione delle malattie dai “focolai” primari.

Restando nel campo delle “influenze” esse hanno trovato come focolaio iniziale gli animali.

Nel caso della spagnola le misure di prevenzione ”veterinarie” non furono sufficientemente efficaci. Al contrario, nella recente influenza aviaria, è stato messo in atto un piano di prevenzione che di fatto in Italia ha impedito che una sola persona si ammalasse.

Altro esempio di efficace prevenzione è stato quello della “mucca pazza” che in Italia è stata arginata grazie soprattutto all’ottima organizzazione veterinaria. Nel Regno Unito, in cui vigeva una differente organizzazione, sono stati abbattuti e bruciati milioni di bovini e, purtroppo, si sono avute circa 200 persone morte.

Il nostro Paese era afflitto da “zoonosi” alimentari quali tubercolosi, brucellosi, trichinellosi, cisticercosi.  L’azione dei servizi veterinari ha sostanzialmente debellato queste malattie che ogni anno mietevano molte vittime.

La “rabbia” che è forse la più terribile zoonosi che ogni anno uccide nel mondo oltre 50.000 persone, in Italia è stata eradicata grazie a una vaccinazione di massa fatta su animali selvatici come le volpi.

Le azioni sopra menzionate sono molto costose, ma anche estremamente efficaci nel tutelare non soltanto la salute degli animali, quanto e soprattutto quella dell’uomo.

Ritornando al Covid – 19 è quasi certo che si sia diffuso da un mercato cinese in cui erano venduti animali vivi anche selvatici. E’ quindi assai probabile che qualcuno, ignorando il pericolo, abbia “prelevato” dall’ambiente qualche pipistrello o altro animale per mangiarlo; da qui l’immane tragedia.

Ricordiamo che qualcosa del genere si è avuto con l’Ebola, la SARS, la MERS in cui gli animali sono stati i serbatoi che se fossero stati lasciati tranquilli nel loro “habitat”, non avrebbero causato tanti guai.

Purtroppo i controlli sanitari sugli animali, sia da allevamento, sia selvatici, non sono così efficienti in tutto il mondo e qualche malattia può sfuggire.

Quando si tratta di malattie confinate negli animali, il tutto si risolve con gravissime perdite economiche. In Cina per arginare la peste suina africana hanno ucciso e distrutto circa 80 milioni di suini.

Malattie che colpiscono l’uomo, ma con modalità di trasmissione individuali (come la rabbia) possono essere di più facile relativo controllo.

Molto più complicate e difficilmente controllabili sono le malattie che si trasmettono per via aerea, come appunto il Covid-19.

La situazione è ben chiara alle più importanti organizzazioni scientifiche internazionali (FAO, WHO e OIE) che da anni stanno cercando di “convincere” le Autorità Sanitarie dei vari Paesi del mondo ad applicare politiche di “medicina unica”. Si tratta di favorire una stretta collaborazione di medici e veterinari con l’obiettivo di mettere a comune le rispettive conoscenze e competenze per tutelare al meglio la salute pubblica.

Nei momenti come quello attuale, è prevalente la necessità di intervenire per curare la malattia e, ovviamente, cercare di arginare il contagio. Una maggiore integrazione tra medici e veterinari sarebbe però auspicabile, fosse anche soltanto nella prevenzione della rara possibilità della trasmissione della malattia ai nostri cani e gatti.

Ai cittadini debbono essere coscienti che gli animali in buona salute, siano essi quelli che vivono nelle nostre case, sia quelli di allevamento, sia quelli selvatici, sono garanzia anche della nostra.

Per saperne di più leggi “La medicina unica ha bisogno di tutti!” tratto da Settimana Veterinaria

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