La frittura del cibo: certezze ed incertezze

Agostino Macrì
8 Novembre 2011
Condividi su
La maggior parte della nostra dieta alimentare è basata su cibi cotti inclusi quelli fritti. La cottura conferisce al cibo migliori caratteristiche organolettiche, rende maggiormente “digeribili” alcuni nutrienti e consente di eliminare eventuali microrganismi patogeni che potrebbero arrecare malattie infettive e tossinfezioni alimentari anche molto gravi ai consumatori. Il rovescio della medaglia è rappresentato dalla perdita di alcuni micronutrienti che si distruggono con il calore ed anche dalla formazione di sostanze potenzialmente dannose  causate dalle tante reazioni che si verificano ad alte temperature tra il cibo ed i vari ingredienti che vengono aggiunti per migliorarne le caratteristiche. Informazioni scientifiche Le informazioni scientifiche sui vantaggi e gli svantaggi dei vari tipi di cottura sono piuttosto approfondite anche se, purtroppo, rimangono esclusiva di ristretti gruppi di ricercatori e raramente raggiungono non solo i consumatori, ma neanche i professionisti della cucina. Esempi evidenti sono i numerosi spazi che i media, e in particolare la televisione, dedicano ai modi di preparare il cibo che sono finalizzati quasi esclusivamente a esaltarne le qualità organolettiche. Scarsa attenzione viene dedicata invece a spiegare i rischi legati alle cotture prolungate, alle varie sostanze tossiche che si formano nella cottura alla brace o nei forni che carbonizzano addirittura il cibo. Pregiudizi e tradizioni Tra i vari tipi di cottura stranamente nei confronti dei fritti esistono molti pregiudizi. I fritti vengono spesso considerati poco salubri in quanto ritenuti difficilmente digeribili o “dannosi per il fegato” , sia che si tratti di prodotti vegetali ( verdure, ma anche frutta) che di origine animale (carne, pesce, uova). Si tratta invece di piatti di rapida e facile cottura che, se ben fatti, debbono essere considerati sicuri. Bisogna iniziare col fare una distinzione tra i metodi di frittura nelle varie regioni italiane. Nel Nord ed anche in alcune regioni centrali il fritto “tradizionale” prevede (o meglio prevedeva) prevalentemente l’uso di grassi animali (burro e strutto suino, ma anche bovino e di pollo). Nel sud invece è prevalente l’uso dell’olio di oliva. Questa situazione si è perpetuata fino alla prima metà del secolo scorso, quando sono apparsi vari altri oli vegetali (soia, arachide, girasole, colza, ecc.) che peraltro sono stati opportunamente “lavorati” con lo scopo di migliorare le qualità organolettiche dei cibi e di riuscire ad occupare quegli spazi che erano rigorosamente riservati all’olio di oliva e al burro. In molti si è fatta avanti la convinzione che i fritti ottenuti con i nuovi olii, che potremmo chiamare “industrializzati” in quanto frutto di studi e prodotti da aziende alimentari,  siano più salubri e “leggeri”.  I dati scientifici attualmente disponibili non sembrano però essere univoci nel dimostrare che i nuovi grassi siano più sicuri di quelli “tradizionali” I fritti industriali La martellante attività pubblicitaria che nel corsi degli ultimi decenni l’industria alimentare ha portato avanti, ha spinto il consumatore ad acquistare questi prodotti di prezzo inferiore mettendo in crisi l’olio di oliva che, pur essendo qualitativamente superiore, non è stato adeguatamente “supportato” perdendo il suo ruolo di “principe” della frittura. Ancora più marcato è stato il declino dei grassi animali e oggi ben pochi li utilizzano per la frittura se si eccettuano alcuni piatti tipici. Negli ultimi decenni ci sono state delle innovazioni che hanno ulteriormente modificato le abitudini alimentari. In particolare il grande sviluppo della ristorazione collettiva (rosticcerie, pizzerie e “fast food” ) in cui i fritti, per la loro gradevolezza, sono molto richiesti dai consumatori; d’altra parte gli stessi esercenti li servono con interesse per gli alti profitti che riescono a ricavarne. In questo mercato si è prontamente inserita l’industria alimentare con la produzione di alimenti “precotti” (patatine, fiori di zucca, derivati del pesce, ecc.) che vengono distribuiti ai  vari ristoranti, pizzerie, rosticcerie, ecc. dove si completa la frittura immediatamente prima di servirla ai clienti. Gli stessi alimenti precotti vengono venduti anche al dettaglio per la successiva frittura nel consumo domestico. Si è insomma creata una filiera industriale del “fritto” standardizzata ed alternativa alla cucina tradizionale, che è molto pratica ed economicamente vantaggiosa soprattutto per i gestori della ristorazione collettiva. Le industrie del “precotto” o meglio del “prefritto” acquistano importanti quantità di materie prime e quindi i costi sono sicuramente ridotti. Infatti le operazioni di preparazione dei prodotti (porzionamento, preparazione delle pastelle, frittura, surgelazione, ecc.)  sono in gran parte meccanizzate con un ridotto intervento di manodopera; inoltre vengono utilizzate catene del freddo altamente efficienti che consentono di raggiungere in modo capillare gli utenti siano essi ristoratori o singoli consumatori. Evidentemente i prezzi praticati sono diversi e quello che paga il consumatore acquistando la singola confezione di patatine o fiori di zucca “prefitti” è decisamente superiore a quello che paga il ristoratore che ne acquista delle partite. Indipendentemente dagli aspetti economici, di fatto si è verificata una autentica rivoluzione nella tradizione della frittura. Con la diffusione dei cibi precotti, la frittura si limita ad immergere nell’olio bollente un surgelato del quale bisogna soltanto completare la cottura seguendo procedure che ben poco hanno a che vedere con la tradizione o con l’arte culinaria e soprattutto senza avere una idea precisa di eventuali problemi di sicurezza alimentare. Infatti spesso non si conosce quale tipo di olio sia stato utilizzato a livello industriale, quali siano stati i tempi di cottura, quale olio dovrebbe essere usato per la cottura finale e per quanto tempo. La situazione che si è venuta a creare richiede una analisi dei diversi aspetti che caratterizzano i “fritti” e che ingenerano confusione tra i consumatori.  Si  rende quindi necessario elaborare un documento-guida che possa chiarire dubbi e perplessità e dare delle indicazioni su come “gestire” questi alimenti nella massima sicurezza. Aspetti nutrizionali. Gli olii vegetali o i grassi animali impiegati nella frittura sono in gran parte assorbiti dal cibo con la conseguenza di aumentarne il  suo potere calorico anche in modo significativo. Per ridurre questo fenomeno è importante “asciugare” i fritti su carta che assorbe gli oli al termine della cottura. Si tratta di una operazione molto semplice, ma essenziale per ridurre l’assunzione di calorie. Il ruolo nutrizionale degli acidi grassi è un argomento ampiamente dibattuto ed è ancora oggetto di numerosi studi scientifici per le opinioni discordanti tra gli esperti. In questa discussione gli acidi grassi omega 3 sono forse tra i più dibattuti in quanto diversi studi dimostrano il loro ruolo molto importante nella regolazione di diversi processi fisiologici e nella prevenzione di alcune malattie. Considerando che gli omega 3 sono presenti in alcuni oli vegetali e nel pesce si potrebbe pensare che il consumo di pesce fritto in olio di oliva possa essere un piatto “ideale” e altamente salutare. Studi recenti dimostrerebbero che durante la cottura non si verifichino reazioni che demoliscano gli stessi omega 3. Un discorso analogo può essere fatto per le sostanze “antiossidanti” (polifenoli, vitamine, fitosteroli, ecc.), cui sono attribuite importanti proprietà salutari e di cui sono particolarmente ricchi gli olii vegetali. Trattandosi di un gran numero di sostanze diverse tra loro, non si può generalizzare sulla loro resistenza al calore, ma molte di esse mantengono il loro valore biologico. Il colesterolo, che si trova prevalentemente nei grassi animali, è oggetto di preoccupazione da parte dei consumatori impegnati a comprendere la differenza tra quello “buono” e quello “cattivo”. Nell’opinione pubblica è radicato il concetto che i fritti siano una importante fonte di colesterolo; questa convinzione, soprattutto utilizzando oli vegetali ed evitando la “pastella” fatta con le uova, non ha fondamenti scientifici quando si friggono alimenti vegetali. Una informazione chiara a questo proposito è quanto mai opportuna per dare maggiore fiducia ai consumatori ed anche per fare capire che una migliore conoscenza del cibo, può contribuire a prevenire danni alimentari e a mangiare con maggiore tranquillità. Pericoli Come accennato, la frittura avviene ad alte temperature e di conseguenza si verificano delle situazioni favorevoli allo sviluppo di numerose reazioni chimiche che vedono coinvolte le infinite sostanze presenti nei grassi e nei cibi. Da queste reazioni possono svilupparsi nuovi prodotti, che pur essendo di origine “naturale”,  non sono interamente noti e, soprattutto, non ne è interamente nota la sicurezza. Tra le sostanze che possono formarsi durante la frittura esiste anche l’acrilammide per la quale esistono  studi che ne dimostrano la pericolosità. Considerando che la formazione dell’acrilammide e di altre sostanze chimiche potenzialmente pericolose può essere fortemente ridotta, è necessario fornire precise indicazioni sulle modalità da applicare. In particolare bisogna indicare quali sono gli alimenti maggiormente suscettibili di produrle, quali sono i grassi migliori per evitare che questo avvenga, quanto tempo deve durare la frittura e, soprattutto, segnalare la necessità di non rimboccare l’olio durante la frittura ed evitare di riutilizzarlo per più fritture. Si tratta di indicazioni anche molto semplici e che ogni persona dotata di buon senso applica nella cucina domestica. Tuttavia non si può ignorare che l’applicazione di regole di sicurezza ha dei costi e che “largheggiare” nell’uso dei grassi di frittura sostituendoli frequentemente ha un prezzo anche rilevante. Anche se ogni ristorante, pizzeria, rosticceria, ecc. ha una propria procedura di sicurezza da seguire, non si può escludere che le regole vengano infrante oltre che per ragioni economiche, anche pratiche come, ad esempio, dover interrompere la frittura  per decine di minuti al fine di sostituire l’olio in un fast food con clienti in attesa. Un ultimo aspetto su cui insistere è quello di una maggiore “trasparenza” sulla qualità degli alimenti che abbiamo chiamato “prefritti”. Considerata l’ampia diffusione di questi prodotti ed il fatto che non sempre la loro origine è rintracciabile (vedi  prodotti sfusi in alcuni negozi di surgelati), è necessario che i consumatori siano adeguatamente informati sui processi seguiti e, soprattutto, ricevano delle informazioni il più possibile adeguate su come comportarsi. Queste indicazioni sono ancora più importanti per i cuochi della ristorazione collettiva che potrebbero anche involontariamente sbagliare le modalità di frittura fornendo ai loro clienti un prodotto di qualità igienica non ottimale. Raccomandazioni :
  1. Utilizzare preferibilmente l’olio extravergine di oliva che risulta essere il migliore anche da un punto di vista tecnologico.
  2. la frittura dovrebbe avvenire in una quantità abbondante di olio evitando  di fare “rabbocchi”
  3. lo stesso olio dovrebbe essere utilizzato per un numero limitato di volte e dovrebbe essere eliminato quando assume un colore diverso da quello originale.
  4. Una colorazione marcata dei fritti (ad esempio quando le patate cominciano ad imbrunire) dimostra che si stanno formando delle sostanze potenzialmente tossiche e che si sta superando il tempo ottimale per la frittura.
Nella ristorazione collettiva (ristoranti, mense, fast food, ecc.) esistono delle procedure che i cuochi debbono seguire e che, sostanzialmente, prevedono  le misure sopra indicate. Il consumatore può accorgersi di eventuali errori nella frittura se il prodotto che gli viene servito ha una colore troppo intenso e se si avvertono odori sgradevoli. In questi casi è opportuno rifiutare il piatto e, eventualmente, andare a vedere il colore  dell’olio che il cuoco sta utilizzando per verificarne lo stato di “freschezza”. Si ricorda infine che ogni esercizio di ristorazione deve seguire delle regole di conduzione inclusa la frittura. Nei casi estremi si può richiedere l’intervento degli organi pubblici di controllo per far verificare se c’è stato o meno un ricambio dell’olio nelle friggitrici. Roma, 27 settembre 2011
Condividi su: