Il capitone: da piatto “povero” ad alimento di lusso?

Agostino Macrì
19 Dicembre 2016
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Nella tradizione alimentare natalizia, soprattutto napoletana, il capitone è irrinunciabile. Il suo consumo segue un rituale ben definito che è stato anche immortalato da Eduardo De Filippo nella sua opera “Natale in casa Cupiello”. Ogni famiglia nelle antivigilie di Natale e/o Capodanno, acquista un capitone vivo che viene ucciso in casa e cucinato in vari modi. Come ogni tradizione che si rispetti anche questa è plurisecolare e le ragioni della sua “radicalizzazione” non sono ben chiare. Si pensa che, essendo il capitone simile a un serpente, mangiandolo si elimina il peccato originale di Eva e si esorcizzano possibili sventure nel corso dei mesi successivi. Più semplicemente si pensa che, trattandosi di un pesce “povero” ma molto nutriente, anche le classi sociali meno abbienti se lo potessero permettere. Questo avveniva nel passato quando era facile procurarsi il capitone a basso prezzo; adesso è sempre più difficile pescarlo e sta diventando un bene di lusso.

Cerchiamo di capire perché.

Il capitone è la femmina dell’anguilla, può raggiungere la lunghezza di due – tre metri ed il peso può essere anche di sei kg. E’ un pesce con lo scheletro osseo (teleosteo) quindi con poche spine e le sue carni contengono circa il 22 % di grasso che è il valore più alto tra i pesci. E’ quindi  facile da mangiare e ha un ottimo valore calorico.

Le anguille hanno un ciclo vitale molto complesso.

Esse si trovano nelle acque interne dolci o salmastre dove soggiornano fino a quando raggiungono la maturità sessuale. A questo punto ritornano verso il mare e con un lungo e lento viaggio raggiungono il mar dei Sargassi nell’oceano Atlantico, dove si accoppiano, depongono le uova e muoiono. Le larve appena nate compiono il cammino inverso e si dirigono negli stessi posti da cui sono partite le madri dove raggiungono la piena maturità che avviene in circa tre anni.

I capitoni che vengono catturati quindi non raggiungeranno mai il mar dei Sargassi e non possono garantire l’afflusso di nuove anguille. D’altra parte non esiste, almeno fino ad  oggi, la possibilità di far riprodurre le anguille fuori dal mar dei Sargassi e quindi poterle allevare come avviene per altri pesci.

La pesca indiscriminata sta mettendo a repentaglio la sopravvivenza stessa delle anguille che stanno correndo il rischio di estinguersi.

Nel passato nel nostro Paese la pesca delle anguille era possibile praticamente in tutti i bacini idrici costieri ed interni. Attualmente però le zone di pesca si sono rarefatte e in pratica soltanto nelle lagune di Comacchio e di Orbetello si possono trovare discrete quantità di capitone.

Al momento non sembra che sia possibile trovare delle soluzioni e non si può escludere che, in un futuro non troppo lontano, il capitone da alimento “povero” e per tutti, divenga un alimento di lusso, riservato a chi potrà permettersi di pagarlo cifre di tutto rispetto.

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