Il ginepraio dell’etichettatura dei vini: cosa fare?

Agostino Macrì
7 Gennaio 2021
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Per i vini, come per tutte le bevande alcoliche, l’Unione Europea è in forte ritardo per definire le modalità di una etichettatura nutrizionale; tale ritardo sembra essere dovuto anche alla ostruzione da parte dei produttori di vini. In compenso c’è una frenetica attività sul fronte della etichettatura delle caratteristiche qualitative dei vini che, ovviamente, non hanno nulla a che vedere con la loro sicurezza.

In verità l’UE li divide in vini da tavola la cui origine non è riconducibile a precise aree geografiche, vini IGP (Indicazione Geografica Protetta) e  DOP (Denominazione di Origine Protetta).

Nel nostro Paese esiste una grande varietà di vini con caratteristiche qualitative molto diverse e che debbono essere tutelate; pur nel rispetto delle norme europee sono state quindi introdotte “categorie” più articolate che,  nell’intenzione del nostro Legislatore, dovrebbero meglio orientare i cittadini nella scelta.

In commercio troviamo:

  • vino generico da tavola che può essere ottenuto da qualsiasi tipo di uva e origine geografica; non richiede particolari etichettature;.
  • Vino “varietale”, ovvero che si ottiene da un vitigno definito (cabernet, merlot, chardonnay, sangiovese, ecc.). In questo caso deve essere indicato il produttore e la ragione sociale.
  • IGT (Indicazione Geografica Tipica) in cui la produzione dell’uva e la successiva vinificazione avvengono in una area geografica definita. Questi vini (che in Italia sono più di cento) debbono seguire un disciplinare di produzione. Si tratta dello stesso vino che l’UE chiama IGP.
  • I vini che l’UE chiama DOP, in Italia sono stati suddivisi nelle categorie DOC (Denominazione di Origine Controllata) e DOCG (Denominazione di Origine Controllata Garantita) la cui produzione deve avvenire nel rispetto di rigorosi disciplinari di produzione.
  • Possono fregiarsi DOC quei vini che sono stati per almeno cinque anni IGT (in Italia abbiamo oltre 300 vini DOC).
  • Possono essere classificati DOCG soltanto i vini che sono stati DOC per almeno 10 anni. I nostri DOCG sono una settantina.
  • Altra denominazione che si può trovare è VQPRD che significa Vino di Qualità Superiore prodotto da una determinata Regione.
  • Ci sono infine delle denominazioni accessorie come Classico, Riserva, Superiore che si riferiscono a particolare cura nella vinificazione.
  • Sulle bottiglie dei vini DOCG deve esserci una “fascetta”  che attesta, anche attraverso un codice alfa numerico,  sia l’origine, sia la qualità dei vini. La fascetta è prodotta dal Poligrafico dello Stato e fornisce una ulteriore garanzia al vino.

Recentemente, il 28 febbraio 2020, il Ministero dell’“Agricoltura” ha emanato un provvedimento con cui viene regolamentata l’utilizzazione delle fascette.

Riassumendo quindi abbiamo dei vini che possiamo definire “comuni” che non necessitano di particolari regole per la produzione e l’etichettatura e altri, di maggior pregio, che invece necessitano del “sigillo” di Stato attraverso la citata fascetta. Se si trova in commercio un vino denominato come DOCG senza la prescritta “fascetta” si tratta di una frode.

La qualità dei vini è sicuramente ben tutelata, molto meno la sicurezza. Ricordiamo che il vino è un alimento di elevato contenuto calorico; bevendone un quarto di litro assumiamo più di 200 Kal sia se consumiamo un Brunello di Montalcino, sia del vino in busta. Inoltre l’alcol è una sostanza che può provocare danni molto seri.

Forse scegliere un vino di qualità e anche costoso può essere un sistema per consumarne meno. Si può concludere che è preferibile acquistare ottimi vini, magari italiani, in modo da bere meno, ma bere meglio.

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