Certe esagerazioni del made in Italy

Agostino Macrì
11 Dicembre 2013
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La difesa del made in Italy riguarda diversi settori produttivi, ma quello alimentare riveste particolare interesse. Infatti il nostro export in vini, salumi, formaggi, conserve, prodotti da forno, ecc. è una delle principali voci commerciali “attive” per il Paese. Ovviamente è ancor più rilevante il consumo interno che non riguarda soltanto gli alimenti trasformati, ma anche le materie prime (carne, latte, uova, frutta, verdura, cereali, legumi) utilizzate tal quali o cucinate sia a livello domestico, sia nella ristorazione collettiva. Il problema di fondo è rappresentato dal fatto che la nostra produzione di materie prime alimentari è del tutto insufficiente sia per fare fronte alle richieste delle nostre industrie alimentari, sia ai nostri fabbisogni. La nostra agricoltura e zootecnia producono quantità sufficienti soltanto di uva per la vinificazione, alcuni cereali (come il riso), carni di pollo e uova. Non si può però ignorare che le materie prime (soprattutto soia e mais geneticamente modificati) per i mangimi utilizzati negli allevamenti avicoli sono in gran parte di importazione. Un importante settore delle nostre produzioni sono gli alimenti tipici, vanto della nostra tradizione e cultura e giustamente considerati un “fiore all’occhiello” da difendere. Per ognuno dei prodotti tipici esiste uno specifico disciplinare di produzione che ne garantisce la genuinità. A molti sfugge però che non tutti i prodotti tipici sono “integralmente” italiani, ma soltanto quelli a Denominazione di Origine Protetta (DOP) e quelli a Denominazione di Origine Controllata (DOC). In pratica quindi soltanto alcuni formaggi, alcuni salumi e certi vini sono fatti con materie prime italiane. Tutti gli altri prodotti, quelli contrassegnati con Indicazione Geografica Protetta (IGP), Specialità Tradizionale Garantita (STG), Denominazione Comunale (DE.CO) possono essere realizzati anche utilizzando materie prime di importazione. Il fenomeno è molto complesso in quanto siamo fortemente dipendenti dalla importazione di alimenti e nello stesso tempo le nostre agricoltura e zootecnia stanno languendo. L’industria alimentare sembra essere florida grazie proprio alla ampia disponibilità di materie prime presenti nei mercati internazionali. Per incrementare le nostre produzioni primarie alimentari sarebbe necessaria una vigorosa ripresa dell’agricoltura italiana, ma sembra che questo sia veramente difficile. Siamo infatti passati da circa dieci milioni di persone che lavoravano nei campi negli anni ’50 a circa un milione attuali. Inoltre molte attività (raccolta di frutta e verdura, pastorizia, mungitura delle mucche, ecc.) sono possibili soltanto grazie all’opera degli immigrati che spesso è anche lavoro nero. Quelli che ancora lavorano la terra si trovano in condizioni critiche anche perché debbono difendersi dai concorrenti stranieri che, grazie a differenti condizioni socio economiche, riescono a produrre alimenti a costi inferiori di quelli del nostro Paese. Ma esistono poi altri ostacoli legati alla mancanza di infrastrutture e, più in generale, al momento di crisi per i cui i cittadini debbono contrarre le spese alimentari. Nel frattempo si sviluppa il fenomeno della contraffazione come dimostra l'”italian sounding”: frequentando gli esercizi commerciali dei diversi continenti è abbastanza facile trovare in vendita alimenti italiani ed anche alimenti di produzione straniera, ma che richiamano quelli italiani. Si stima che questo fenomeno comporti danni economici significativi per il nostro Paese. Molti ritengono che un modo efficace per arginare la crisi esistente sia quello di identificare l’origine degli alimenti e, sostanzialmente, dare al consumatore la possibilità di scegliere alimenti totalmente italiani. Sul punto si è mosso anche il nostro Governo con iniziative che però sono state ritenute non conformi alle norme comunitarie e quindi non applicabili. Il Parlamento europeo ha adottato un provvedimento che impegna la Commissione UE a regolamentare la necessità di indicare l’origine degli alimenti. Recentemente (dicembre 2013) la Commissione UE ha stabilito che per le carni di bovini, suini, ovicaprini e pollame vendute al dettaglio sia indicato in etichetta il luogo di allevamento e di macellazione. Rimane però volontaria la dichiarazione dell’origine. La grande distribuzione si sta organizzando: solo per fare un esempio, Coop ha deciso di mettere in rete una descrizione dell’origine dei prodotti venduti con il proprio marchio. Scorrendo i dati riportati nel sito si può vedere che non sono pochi gli alimenti costituiti da materie prime di importazione. Per sostenere la proposta e l’opportunità di indicare l’origine di tutti gli alimenti, sono state organizzate importanti manifestazioni pubbliche con l’obiettivo anche di convincere a consumare prodotti italiani lasciando intendere che siano migliori da un punto di vista qualitativo. Questo punto è molto delicato in quanto le norme europee esistenti garantiscono un livello molto elevato di sicurezza per tutti gli alimenti siano essi nazionali o di importazione: insomma va ribadito che il consumatore in Europa è già molto protetto e tutto il cibo che acquista nei normali canali commerciali è privo di pericoli. Ecco perché la difesa del made in Italy, che pure deve interessare tutti noi, non deve essere confusa con la sicurezza degli alimenti. Sarebbe invece più responsabile, anzichè evocare come panacea per ogni male un made-in-italy che non sempre è quel che i consumatori si aspettano, percorrere anche altre strade: ad esempio dovremmo sostenere con forza ogni misura tendente ad una ripresa delle attività agricole e zootecniche a tutela della nostra economia, del nostro ambiente, della nostra cultura e magari anche ritornare a certe vecchie abitudini alimentari accompagnate da stili di vita salutari.
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