Il cappone… di nonna Carola!

Agostino Macrì
6 Maggio 2020
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Il cappone è un gallo che è stato castrato a un’età di circa due mesi. La sua produzione ha origini molto antiche e risulta che già nel VII secolo A.C. i greci castravano i galli. Ciò avveniva perché più galli nello stesso pollaio si azzuffavano; allora si castravano quasi tutti e la pace tornava. Quei pochi che restavano “interi” potevano compiere la loro funzione riproduttiva senza doversi contendere le galline.

Si scoprì ben presto un effetto collaterale molto importante, ovvero che i galli castrati raggiungevano un peso maggiore e le carni erano migliori.

I capponi erano ben conosciuti anche dai Romani e ne hanno parlato importanti autori.  Sono stati sempre molto apprezzati e ne parla anche Manzoni nei Promessi Sposi quando Renzo porta come dono pregiato quattro capponi all’Avvocato Azzeccagarbugli.

Si tratta di un alimento tradizionale delle feste natalizie che viene utilizzato per farne un ottimo bollito, da cui si può anche ricavare del grasso da usare come condimento per altre vivande.

I capponi sono inclusi nel Regolamento CE 543/2008 riguardante le carni di pollame che li definisce come: “animali di sesso maschile, castrati chirurgicamente prima che abbiano raggiunto la maturità sessuale e macellati a un’età di almeno 140 giorni; dopo la capponatura, i capponi devono essere stati ingrassati per un periodo di almeno 77 giorni”.

 

E veniamo alla “tecnica” della castrazione.

Nell’allevamento tradizionale rurale le galline iniziano a deporre e covare le uova in prossimità della primavera. Dopo 21 giorni di “cova” le uova schiudono e i pulcini cominciano a muoversi intorno alla chioccia. Dopo circa 45 giorni è facile distinguere i maschi dalle femmine. I maschi, come accennato, possono rappresentare un problema e quindi conviene lasciare quelli che sembrano migliori fisicamente e che saranno utilizzati per la fecondazione delle galline. Gli altri sono castrati. Con la castrazione s’inibisce lo sviluppo dei caratteri sessuali ma si favorisce il “mantenimento” di buoni livelli di ormone della crescita che si traduce in un importante effetto “anabolizzante”.

Si tratta di un piccolo intervento chirurgico che tradizionalmente era fatto dalle donne.

A questo proposito voglio inserire il mio ricordo su come operava mia nonna che si chiamava Carola. Con un paio di piccole forbici sterilizzate sul carbone ardente, praticava un’incisione nel fianco dell’animale dove si trovano i testicoli che poi venivano asportati. Successivamente con ago sempre sterilizzato e filo ricuciva la ferita. Come disinfettante adoperava la cenere ancora calda che cospargeva sulla zona dell’incisione. Ricordo anche che tagliava la cresta  “disinfettando” poi la zona che era stata mutilata sempre con della cenere. Cresta e testicoli venivano poi passati in padella e mangiati  essendo considerati degli ottimi “ricostituenti” soprattutto per i bambini.

 

Negli anni  ’50 venne anche praticata la castrazione chimica. Ai galli si “impiantava” (generalmente nel collo) un preparato a base di Dietilstilbestrolo che è un farmaco con potentissima attività estrogenica e quindi in grado di inibire completamente lo sviluppo dei testicoli.

Ben presto ci si accorse della grande pericolosità dei residui che restavano nei tessuti dei “capponi” e che provocarono gravi lesioni all’apparato sessuale in alcuni che ne avevano mangiato le carni.

Negli anni Settanta del secolo scorso è circolata la notizia di un cuoco svizzero che mangiava i colli dei capponi che lui cucinava e che teneva separati. Mangiandone quantità importanti e presumibilmente contenenti residui dell’ormone, sarebbe stato a sua volta “capponato” e reso sterile.

La tecnica della castrazione chimica, come pure l’impiego di ormoni anabolizzanti, sono stati rigorosamente vietati a partire dal 1963.

 

Attualmente i capponi sono una produzione di “nicchia” e esistono anche delle produzioni riconosciute “tipiche”. Le tecniche di castrazione sono ovviamente più evolute e il rispetto del benessere animale è assicurato sia mediante dei trattamenti anestetici, sia con l’impiego di farmaci in grado di prevenire le infezioni.

 

Da un punto di vista di “sicurezza” alimentare non ci sono differenze con i polli “convenzionali. Le qualità organolettiche sono però diverse, come diversi sono i sistemi di allevamento. Queste differenze si possono vedere al momento dell’acquisto dei capponi che costano molto più dei polli convenzionali.

Voglio concludere dicendo che soltanto adesso mi rendo conto che da bambino, pur appartenendo a una famiglia di modeste condizioni economiche, ho inconsapevolmente mangiato cibi di altissima qualità che probabilmente erano presenti solo nelle mense principesche.

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