Farine animali: stop al divieto nei mangimi

Agostino Macrì
13 Marzo 2013
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La Commissione europea ha deciso di consentire nuovamente l’impiego delle farine animali, con esclusione di quelle ottenute dai ruminanti (bovini ed ovini), nella preparazione dei mangimi. Con una deroga, però, in quanto non potranno essere utilizzate nell’alimentazione dei ruminanti. La decisione è stata presa a distanza di circa 12 anni dal divieto che venne imposto quando si scoprì che le farine provenienti da bovini infetti erano state il veicolo attraverso cui si diffuse l’agente dell’Encefalopatia Spongiforme Bovina (ESB), a tutti nota come BSE, dall’inglese Bovine Spongiform Encephalopathy. Prima di allora, le farine animali erano impiegate nell’alimentazione di quasi tutte le specie onnivore e/o carnivore, a concentrazioni variabili nei mangimi. In particolare, l’utilizzo nell’alimentazione dei ruminanti venne introdotto successivamente ad alcuni studi, che dimostrarono un notevole miglioramento delle prestazioni zootecniche dei bovini con una somministrazione di circa trecento grammi al giorno di farina di carne1. La comparsa della BSE Nel Regno Unito, a partire dal 1986, si registrò la comparsa di una nuova malattia dei bovini caratterizzata inizialmente da alterazioni comportamentali, seguite da paralisi e morte. Le osservazioni anatomoistopatologiche dimostrarono gravi lesioni al tessuto nervoso, che assumeva una struttura microscopica “spugnosa”; per questo motivo, la malattia venne chiamata “Encefalopatia Spongiforme Bovina”. Un’altra Encefalopatia Spongiforme Trasmissibile (EST), chiamata scrapie, era nota da tempo negli ovini, ma non possedeva il carattere epidemico che caratterizzava la BSE. Anche l’uomo può essere colpito da queste malattie, tutte a decorso invariabilmente fatale e, in particolare, dalla malattia di Creutzfeldt-Jakob, patologia a bassa incidenza, che interessa per lo più soggetti adulti. Una delle forme umane più note di encefalopatia spongiforme trasmissibile prende il nome di “kuru”, diffusa sino a qualche decina di anni fa in alcune popolazioni che praticavano il cannibalismo in alcune regioni della Papua Nuova Guinea. Come nel caso della BSE, anche la Kuru è stata una forma epidemica di origine alimentare in quanto il contagio avveniva proprio consumando il cervello di soggetti infetti deceduti. Le cause delle EST Le Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili, nelle loro diverse forme animali ed umane, sono dovute ad un’alterazione della proteina prionica, normalmente presente nei neuroni e in altre popolazioni cellulari di tutti i mammiferi. Tale proteina, in caso di malattia, subisce una modifica della propria conformazione, determinando una degenerazione del tessuto nervoso, che assume la citata forma spugnosa e perde la sua funzionalità. Non a caso, le Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili sono altrimenti dette “malattie da prioni”. Studi hanno dimostrato che è sufficiente somministrare oralmente ai bovini anche piccole quantità di tessuto nervoso di animali infetti per innescare lo sviluppo della patologia. La produzione delle farine animali Le farine animali si ottengono trattando termicamente ed essiccando i tessuti di scarto della macellazione degli animali. Si tratta di tessuti cartilaginei, ossei, sangue e organi che normalmente non vengono consumati a scopo alimentare dall’uomo e che rappresentano circa il 50% del peso dell’intera carcassa degli animali macellati. Le farine che si ricavano hanno un elevato valore nutrizionale per l’alto contenuto in proteine e lipidi e sono considerate anche molto sicure in quanto i trattamenti termici distruggono gli eventuali microrganismi pato-geni presenti. Purtroppo, però, i trattamenti termici, anche a temperature molto elevate, non sono sufficienti per inattivare i prioni. I trattamenti termici a cui sono sottoposte le farine animali garantiscono la distruzione degli eventuali patogeni presenti, ma non sono in grado di inattivare i prioni. Nella convinzione che l’epidemia di BSE fosse limitata al Regno Unito e che il divieto di utilizzo di farine di carne per l’alimentazione dei soli ruminanti potesse essere in grado di evitare il diffondersi dell’infezione, le farine prodotte in anni (che a posteriori è stato possibile definire “a rischio”) continuarono ad essere usate per molto tempo. Un elemento che rese difficile l’attuazione di un piano immediato di eradicazione della BSE è stato il fatto che la sua “incubazione” è molto lunga e può durare anche molti anni prima della comparsa dei sintomi clinici. I bovini impiegati per la produzione della carne vengono macellati ad una età raramente superiore ai tre anni. Le vacche allevate per produrre latte, invece, possono vivere anche otto-nove anni e proprio in questa categoria di animali è stata riscontrata la maggior parte dei casi clinici. Non si può ovviamente escludere che siano stati macellati animali che stavano “incubando” la malattia ed erano quindi “infetti”. I divieti introdotti Nel Regno Unito la diffusione della malattia assunse il carattere di una vastissima epidemia tra i bovini; si registrarono, inoltre, anche alcuni casi di infezione umana, che vennero associati proprio al consumo di tessuti di bovini infetti. Allo scopo di arrestare la diffusione della malattia tra gli animali e, quindi, di eliminare la possibilità di infezione umana, vennero presi drastici provvedimenti; in particolare, venne fatto divieto assoluto di utilizzare le farine animali nell’alimentazione zootecnica, furono predisposti controlli severissimi sugli animali macellati e venne proibito il consumo umano dei cosiddetti “organi a rischio” (cervello, milza e bistecche con osso, in quanto potenzialmente contaminato dal midollo spinale). Le misure adottate sono risultate molto efficaci: di fatto, la BSE nei bovini è stata eradicata. Fortunatamente anche i casi umani, poco superiori ai 200, sono praticamente scomparsi. I consumi di carne, dopo un’iniziale flessione, hanno cominciato a risalire e sono ritornati a livelli analoghi a quelli registrati prima della comparsa della BSE. La reintroduzione delle farine animali Come accennato in precedenza, dalla macellazione e dalla sezionatura delle carcasse si ottengono quantità enormi di scarti che debbono essere smaltiti. Attualmente questi scarti vengono lavorati da aziende specializzate e trasformati in farine, che vengono distrutte mediante incenerimento o, in alcuni casi, utilizzate come combustibile per centrali termiche o altre attività industriali. I costi dello smaltimento sono molto elevati e non è da sottovalutare anche il problema dell’inquinamento ambientale causato dalla combustione delle farine. Le farine, grazie al loro elevato contenuto proteico e di sali minerali, rappresentano un importante costituente della dieta degli animali e possono sostituire, almeno in parte, la farina di soia. Il divieto di utilizzare farine ottenute dalle carcasse dei ruminanti permane perché potenzialmente potrebbero essere ancora macellati animali ammalati di BSE o di scrapie, con il rischio di produrre farine contaminate. L’Unione europea ha discusso a lungo sulla possibilità o meno di reintrodurre le farine di carne nell’alimentazione zootecnica. La decisione presa di recente consentirà di impiegare le farine animali nelle diete “zootecniche”, ma verranno messi dei paletti che garantiranno l’assenza di pericoli. Come precisato in apertura, permane, infatti, il divieto di utilizzare le farine provenienti dalle carcasse dei ruminanti (bovini ed ovini) in quanto esiste ancora il pericolo potenziale che alcuni animali ammalati di BSE o di scrapie vengano macellati e, quindi, potrebbe esserci la possibilità di ottenere farine contaminate. Questo pericolo non esiste per le farine ottenute dalle carcasse di altri animali, in particolare volatili, suini e pesci, che potranno quindi essere utilizzate, ma non per l’alimentazione dei ruminanti. Con queste precauzioni non è prevedibile nessun pericolo di diffusione di BSE tra gli animali da allevamento e, soprattutto, viene garantita la massima sicurezza per i consumatori. Autore: Agostino Macrì (pubblicato su “Alimenti e Bevande”) Data: 13 marzo 2013
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