Carne separata meccanicamente (CSM): di cosa si tratta

Agostino Macrì
27 Gennaio 2021
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Il Regolamento CE 853/04 definisce la CSM “prodotto ottenuto mediante la rimozione della carne da ossa carnose dopo il disosso o da carcasse di pollame, utilizzando mezzi meccanici  che conducono alla perdita o modificazione della struttura muscolo-fibrosa”. In pratica si tratta di recuperare i vari frammenti di carne che rimangono attaccate alle ossa dopo essere state spolpate. Si possono recuperare soltanto le carni dei suini e del pollame (polli e tacchini).

Dalle ossa dei bovini questa operazione non è consentita perché esisteva il pericolo della “mucca pazza” (BSE) e si temeva di “recuperare” anche il tessuto nervoso potenzialmente pericoloso.

L’operazione di “recupero” viene effettuate con macchine che “raschiano” a fondo le ossa e aspirano i frammenti carnei ancora presenti.

Un’altra tecnica, che si applica per le carcasse del pollame, è la “spremitura” che consiste in una pressione meccanica che consente di separare la carne residua trasformandola in una massa pastosa.

La CSM è quindi un sottoprodotto della lavorazione della carne è ha proprietà nutrizionali diverse. E’ infatti presente una quantità maggiore di grassi; le proteine derivano in parte dal tessuto connettivo, ricco di  “collagene” che le rende meno digeribili. I processi di separazione comportano anche la presenza di calcio derivato dalle ossa.

Il prodotto finale si presenta sotto forma di “pasta” che è più facilmente “aggredibile” da microrganismi anche potenzialmente pericolosi.

Si tratta quindi da un prodotto diverso dalla carne che non è adatto  al consumo alimentare diretto. Trova invece utilizzazione nell’industria alimentare come ingrediente nella produzione di altri  alimenti. Grazie alla sua costituzione la CSM è facilmente “lavorabile” e si presta molto bene nella preparazione di alcuni insaccati cotti ( wurstel, salsicce tritate finemente e alcuni tipi di salami), alimenti precotti impanati (cotolette, crocchette, cordon bleu, ecc.), i polpettoni e anche come ripieno di alcune paste.

Generalmente la CSM è utilizzata come “ingrediente” insieme ad altre materie prime alimentari; eventuali “carenze” nutrizionali sono pertanto   compensate dai nutrienti presenti negli altri prodotti.

Trattandosi di prodotti cotti il rischio microbiologico è trascurabile, ma è necessario “gestirli” correttamente per evitare contaminazioni secondarie.

Anche se i pericoli sanitari sono assenti, non si può dimenticare che le CSM sono dei sottoprodotti  di valore economico e nutrizionale inferiori alla carne e il loro costo deve essere adeguato. Per tale motivo le norme vigenti impongono ai produttori di segnalare  nelle etichette la eventuale presenza di CSM negli alimenti.

Le tecniche di produzione consentono di migliorare la “gradevolezza” degli alimenti e questo avviene ovviamente anche per quelli che contengono le CSM e al consumo non sempre è agevole differenziarli.

Grazie a una attenta lettura delle etichette, il consumatore ha la possibilità di scelta di alimenti contenenti CSM  che, pur essendo dei buoni alimenti, non rappresentano l’eccellenza nutrizionale; il suggerimento è di alternarli ad altri cibi. In poche parole mangiare soltanto alimenti come i wurstel, costituiti da CSM  non è il massimo della scelta dietetica.

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