Possiamo bere tranquillamente il caffè?

Agostino Macrì
23 Luglio 2019
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Il caffè è la bevanda più consumata al mondo dopo l’acqua. Il successo è dovuto alla presenza di caffeina che viene “estratta” dai chicchi tostati con acqua calda e che ritroviamo così in tazza. La caffeina è una sostanza naturale che stimola il sistema nervoso centrale; a dosi moderate migliora lo stato di “lucidità” mentale e aiuta a contrastare la sonnolenza. È stato calcolato che una dose di circa 3 mg per kg di peso corporeo al giorno, corrispondenti a circa 200 mg per persona sono ben tollerati e hanno effetti benefici per la salute. Bisogna tuttavia ricordare che la caffeina è presente anche nel tè, nel guaranà, nel cioccolato che, pertanto, potrebbero far superare tale dose. In termini pratici bere tre tazzine di caffè espresso al giorno è considerato accettabile.

Sui benefici e sui pericoli del caffè esiste una vasta documentazione scientifica con dati spesso molto contrastanti tra loro; non è difficile trovare degli articoli in cui si parla in termini elogiativi del caffè e altri che, al contrario, descrivono questa bevanda come molto pericolosa.

Tali differenti opinioni possono nascondere importanti interessi economici tendenti a valorizzare o denigrare la bevanda oppure determinati brand.

Di caffè ne esistono diverse specie tra cui quelle maggiormente impiegate sono la Coffea Arabica, la Coffea Canephora (Robusta) e in misura minore la Coffea Liberica le quali si differenziano tra loro sia per l’ambiente in cui sono coltivate sia per alcune peculiarità a livello organolettico che si riscontrano nella bevanda in tazza.

Il caffè che noi consumiamo deriva da un trattamento termico ad alta temperatura dei chicchi verdi conosciuto come “tostatura”. In questa fase le molteplici sostanze che compongono il caffè reagiscono tra loro e danno origine a un gran numero di composti che conferiscono al prodotto finito il caratteristico aroma.

La fase successiva è quella della macinatura e della preparazione della bevanda che si può ottenere con diversi metodi di “estrazione” acquosa.

Il metodo più antico e classico è quello della “infusione” che consiste nel mettere a contatto la polvere di caffè con acqua calda. Il più semplice è quello alla “turca”, quello più raffinato è alla “napoletana” in cui l’acqua bollente attraversa lo strato di caffè in polvere estraendo la caffeina e le altre sostanze idrosolubili. Il caffè all’americana si ottiene con lo stesso principio.

Una evoluzione è stata la “moka” che consente all’acqua in ebollizione di attraversare lo strato di caffè in polvere.

Il caffè espresso che troviamo nei bar, si ottiene invece facendo attraversare il caffè in polvere da una corrente di vapore sotto pressione; in questo modo si ottiene una bevanda concentrata caratterizzata da una tipica crema color nocciola.

Un parente molto prossimo all’espresso del bar è quello che si ottiene da piccoli elettrodomestici casalinghi che producono vapore il quale è fatto transitare in uno strato di caffè. Quest’ultima procedura di preparazione del caffè ha scatenato un’importante “battaglia” commerciale in cui le diverse aziende del settore hanno messo a punto dei dispositivi di diversa natura (cialde, capsule, ecc.) contenenti miscele di caffè in polvere da utilizzare nelle “macchinette” domestiche.

Riassumendo quindi abbiamo i “torrefattori” classici che producono il caffè da commercializzare in grani e/o in polvere per la moka e/o i bar.

Esistono poi i “confezionatori” di caffè per le “macchinette”.

Considerata l’importanza degli interessi in gioco, si può facilmente comprendere il ricorso ad argomentazioni che possono esaltare o denigrare i vari prodotti.

Vale la pena di ripetere che nel processo di torrefazione del caffè si formano numerose sostanze chimiche e, tra queste, anche gli idrocarburi policiclici aromatici e l’acrilammide la cui pericolosità è ben nota ma, al contempo, ritenuta non molto rilevante visti i relativi bassi consumi.

Un problema nuovo è rappresentato dalle capsule o cialde utilizzate come contenitori del caffè nelle “macchinette” domestiche. Sono infatti spesso costruite con materiali in plastica e/o in metallo; considerate le “condizioni operative” della preparazione del caffè, esiste la possibilità della “cessione” di sostanze potenzialmente pericolose.

Una ricerca ha dimostrato la presenza di piccole quantità di ftalati e di metalli pesanti nel caffè ottenuto dalle capsule. Si tratta di un problema importante che però potrebbe essere risolto ricorrendo ad altri materiali per la preparazione delle capsule stesse.

Un problema molto serio riguarda invece lo “smaltimento” delle capsule che richiede una particolare attenzione da parte dei consumatori. Alcuni rivenditori hanno organizzato dei punti di raccolta di quelle esaurite; sarebbe bene che i cittadini sfruttino questa possibilità evitando di “appesantire” ulteriormente lo smaltimento dei rifiuti urbani.

Un cenno infine ai costi del caffè.

È fuori discussione che quello classico alla “napoletana” o la “moka” sono i più economici e con una decina di centesimi si può bere la tradizionale tazzina. Quello ottenuto con le “macchinette” (fatti salvi i costi dell’ammortamento dell’attrezzatura) costa una quarantina di centesimi. Al bar il prezzo medio “onesto” è di circa un euro ma può variare sensibilmente in funzione della città e del locale. Ovviamente bere un caffè seduti in Piazza San Marco a Venezia o a Piazza Navona a Roma non è molto economico.

Come tutti gli alimenti il caffè presenta qualche pericolo, ma si tratta di pericoli ritenuti modesti e che possono essere tenuti sotto controllo. È tuttavia opportuno evitare consumi esagerati di caffè soprattutto per l’eccessiva assunzione di caffeina.

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