Non ci preoccupiamo, ma impariamo a conoscere il carbonchio ematico

Agostino Macrì
13 Settembre 2017
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Recentemente a Grottaferrata, in provincia di Roma, alcuni bovini si sono ammalati di Carbonchio ematico (antrace) e sembra che anche qualche persona sia stata contagiata. Si tratta di una “zoonosi”, ovvero di una malattia trasmissibile anche all’uomo, che colpisce diverse specie animali  ed è provocata  dal batterio Bacillus anthracis. Questo batterio una volta “penetrato” nell’organismo animale per via prevalentemente orale, da origine a una setticemia e durante il suo sviluppo produce delle tossine in grado di provocare gravi lesioni che portano alla morte degli animali ammalati.

La malattia in Italia, grazie soprattutto a campagne di vaccinazioni e al rispetto di buone condizioni igieniche negli allevamenti, è quasi del tutto scomparsa a differenza di altri Paesi dove è ancora presente.

Il motivo per cui l’eradicazione non è facile, dipende dal fatto che il batterio quando viene a trovarsi in condizioni avverse non muore, ma si trasforma in una “spora” capace di resistere allo stato vegetativo anche per molti anni. Non appena le “spore” si trovano in condizioni favorevoli (esempio nell’apparato digerente dei bovini) riprendono vitalità e si riproducono velocemente provocando la malattia.

In passato, quando le conoscenze sulle caratteristiche del Bacillus anthracis non erano adeguate, gli animali morti di carbonchio venivano seppelliti dando la possibilità al batterio di “sporificare”.  Se le zone in cui si trovavano le carcasse degli animali venivano adibite a pascolo esisteva il rischio molto alto che le spore raggiungessero i foraggi e infettassero gli animali che li mangiavano. I terreni in cui erano presenti le spore venivano chiamati “campi maledetti”.

Nel caso di Grottaferrata non si può escludere che l’infezione sia avvenuta attraverso il terreno magari contaminato diversi anni orsono.

Il pericolo per l’uomo è rappresentato dal contatto con gli animali ammalati e in particolare con i tessuti infetti con la possibile involontaria assunzione del microrganismo per via orale, magari attraverso le mani sporche.

In passato poteva capitare che gli animali morti di carbonchio venissero scuoiati e le pelli “conciate”; anche in queste condizioni il batterio è in grado di “sporificare” e i conciatori correvano il serio rischio di inalarle e quindi di ammalarsi.

Come accennato, al momento in Italia il rischio della comparsa di carbonchio ematico negli animali è molto modesta sia perché esistono dei vaccini molto efficaci, sia perché nel caso di “focolai” di infezione gli animali infetti e/o morti sono eliminati e le carcasse distrutte mediante incenerimento. In ogni caso il controllo veterinario è diffuso su tutto il territorio nazionale ed eventuali casi, come quello di Grottaferrata, sono immediatamente individuati con l’adozione contemporanea delle misure di profilassi necessarie.

Come accennato anche l’uomo, seppure molto raramente, può ammalarsi; nei casi di infezione umana esistono ottime terapie antibiotiche che portano a guarigione le persone ammalate.

Questo ultimo aspetto è molto importante nel caso di minacce o di attacchi terroristici con spore di carbonchio; un immediato trattamento antibiotico è in grado di prevenire pericoli gravi per l’uomo.

In conclusione il carbonchio ematico è una grave malattia la cui diffusione può essere prevenuta adottando idonee misure di sanità pubblica veterinaria mediante la vaccinazione e la distruzione mediante incenerimento degli animali ammalati. Per evitare conseguenze per l’uomo è necessario evitare il contatto e, ovviamente, il consumo di carni e/o frattaglie degli animali ammalati.

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