I cambiamenti climatici, il nostro cibo e la nostra salute

Agostino Macrì
27 Febbraio 2019
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Lo scorso dicembre, presso l’Istituto Superiore di Sanità, si è svolto  il primo convegno internazionale “Cambiamenti Climatici e Salute”. Abbiamo chiesto ad Alberto Mantovani dell’ISS di spiegarci il perché di questa iniziativa.

“Il riscaldamento globale, l’”effetto serra” non può più essere considerato una ipotesi. L’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima di Bologna ci conferma che il 2018 è stato l’anno più caldo dal 1800 ad oggi per l’Italia. La temperatura media annua è stata +1.58°C rispetto alla media del periodo 1971-2000, superando il precedente record del 2015 (+1.44°C); addirittura il mese di aprile è stato il più caldo dal 1800 ad oggi (+3.50°C). Significativo è il fatto che tra i 30 anni più caldi dal 1800 ad oggi, 25 siano successivi al 1990.

I gas responsabili dell’”effetto serra” (soprattutto anidride carbonica e metano) sono prodotti in gran parte dalle trasformazioni che abbiamo impresso al nostro ambiente negli ultimi 100 anni, in particolare l’uso di combustibili fossili (carbone, petrolio, metano), l’urbanizzazione (ad es., traffico veicolare), gli aerei, le emissioni degli allevamenti, ma anche le risaie.

Anche se il riscaldamento globale è l’evento principale, i cambiamenti climatici sono più complessi con caratteristiche e conseguenze specifiche in diverse aree del mondo.

L’alternanza tra siccità e piogge torrenziali in molte aree devasta i territori sia con incendi, sia con violente inondazioni.

Gli sbalzi climatici incidono profondamente sulla salute delle persone più fragili. Le temperature troppo alte, ad esempio, peggiorano lo stato di salute dei cardiopatici e sono spesso causa di fenomeni depressivi. Un precedente drammatico è stata la famigerata ondata di calore del 2003 che  provocò oltre 70mila morti in Europa. Si è trattato di una “lezione” dura che ha indotto le Istituzioni a predisporre piani di prevenzione che, fortunatamente sono sufficientemente efficaci.

Incendi devastanti colpiscono anche paesi ricchi di risorse come gli USA e le conseguenze sono a vasto raggio con il peggioramento della qualità dell’aria causata anche dalla combustione di plastiche e materiali da costruzione e la conseguente diffusione ambientale di sostanze altamente tossiche e persistenti come le diossine; questo genere di contaminazione può aumentare l’incidenza di malattie respiratorie.

Se prendiamo in considerazione l’ecosistema in cui viviamo dobbiamo renderci conto l’ampio impatto su quella che chiamiamo “Salute Unica” che lega insieme il nostro benessere con quello degli altri organismi viventi.

Facciamo alcuni esempi.

Il prolungamento delle fioriture di alcune specie di piante aumenta gli allergeni in circolo: il rischio è che l’allergia ai pollini diventi un fenomeno che dura tutto l’anno e non più stagionale.

Si può avere una più ampia diffusione di insetti vettori di malattie degli animali e delle persone come zecche e zanzare. La stessa cosa si può avere con i parassiti vegetali provenienti da climi più caldi (in Italia ricordiamo le recente invasione da parte del punteruolo rosso, micidiale parassita delle palme).

 La alternanza fra siccità e bombe d’acqua e la alterazione dei cicli stagionali “stressano” le piante coltivate per la produzione di alimenti e foraggi rendendole più vulnerabili alla contaminazione da parte di funghi microscopici. La pianta sembra intatta, ma i funghi producono sostanze tossiche spesso molto preoccupanti, le “micotossine”. Ad esempio, in particolare nella pianura padana si è visto l’intensificarsi della contaminazione dei foraggi e del mais con l’aflatossina B1 che è cancerogena e genotossica. Purtroppo se questi prodotti  sono somministrati alle mucche il latte si contamina con la micotossina e di conseguenza, a cascata, il formaggio che si  ricava è a sua volta contaminato e inutilizzabile per l’alimentazione umana. Per evitare che i consumatori corrano dei pericoli si attuano rigorose misure di prevenzione: tutto questo però ha un costo che alla fine ricade sul già misero bilancio del Servizio Sanitario Nazionale..

Un aspetto meno noto, ma ugualmente importante del riscaldamento globale è il rilascio di contaminanti “intrappolati” in alcuni grandi comparti ambientali. Lo scioglimento di parti del “permafrost”, cioè dei territori ghiacciati dei poli, sta aumentando il rilascio ambientale di metano, un gas critico per l’effetto serra, nonché di sostanze tossiche come mercurio e PCB, che possono accumularsi nelle catene alimentari, in particolare negli organismi marini. Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente, il mercurio può essere mobilizzato dai comparti in cui è “intrappolato” anche da eventi quali inondazioni, forti piogge e persino incendi boschivi, dato che si deposita nel legno.

Infine, i cambiamenti climatici possono rendere più vulnerabili a parassiti di ogni tipo (insetti, funghi, etc.) gli organismi produttori di alimenti, piante o animali. Questo è un importante problema sociale per un Paese come l’Italia che oggi produce solo la metà del cibo che consuma. Venendo alla sicurezza alimentare, la necessità di proteggere piante ed animali può comportare un uso crescente di pesticidi ed antiparassitari. A parte dichiarazioni -ben poco sensate- su un’improbabile “agricoltura senza pesticidi” è chiaro che la difesa delle produzioni agricole, e quindi della disponibilità di alimenti, deve avvenire salvaguardando la sicurezza dei consumatori, nonché dei lavoratori agricoli, di chi comunque vive in campagna e dell’ambiente.

Una parte dei pesticidi diffusi nell’ambiente viene trasformata in altre sostanze dall’azione delle condizione atmosferiche e dei microrganismi: non è infrequente che i prodotti di trasformazione abbiano una tossicità maggiore rispetto alla sostanza originaria. Per la sicurezza d’uso dei pesticidi è quindi importante valutare come i cambiamenti climatici possono modificarne le trasformazioni ambientali. Le competenze del settore pubblico e privato dovrebbero lavorare insieme per ottenere una “quadratura del cerchio”: tutelare le produzioni agricole di fronte ai nuovi e maggiori rischi mantenendo l’elevato livello di sicurezza garantito dalle regole dell’Unione Europea, le migliori del mondo.

Ogni evidenza scientifica indica che costa molto di più tentare di riparare i danni dei cambiamenti climatici piuttosto che investire per prevenirne o almeno ridurne i futuri impatti.  Eppure, di fronte ad un problema globale, complesso e ancora incompletamente noto, cosa può fare il singolo cittadino?

 Prima di tutto, occorre esigere che la classe dirigente abbia il coraggio e la saggezza di investire risorse oggi per ricavare importanti benefici in termini di salute e abbattimento della spesa sanitaria anche in tempi relativamente brevi (pensiamo, ad esempio, alla riduzione delle malattie da inquinamento atmosferico).

E’ però indispensabile anche riuscire a fare alcuni importanti cambiamenti nella vita di tutti i giorni:

  • evitare di usare la macchina quando non è inevitabile. E’ fattibile più di quanto non sembri di primo acchito: i mezzi pubblici, la bicicletta o i nostri piedi (il “cavallo di San Francesco”) possono rivelarsi mezzi di spostamento più rapidi ed efficienti, oltre che meno inquinanti.
  • tenere la temperatura più bassa in casa durante l’inverno: non serve affatto avere 25°C in casa e tra l’altro l’inverno è oramai mite in molte parti d’Italia
  • consumare meno carne e mangiare più alimenti di origine vegetale: un consumo medio ragionevole di non più di 2 porzioni di carne, 2 di pollame e 1 di salumi è raccomandato dai nutrizionisti e anche utile all’ambiente.

Sono comportamenti che consentono di risparmiare e anche moderare i danni al nostro “ecosistema”. Diviene imperativo adottarli subito perché il riscaldamento globale non è fantascienza, ma incide sulla nostra salute e quella delle future generazioni.” (Alberto Mantovani, Istituto Superiore di Sanità)

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