Shirataki: quando gli spaghetti sono giapponesi

Agostino Macrì
2 Marzo 2016
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Una delle ultime “novità” nel variegato modo della gastronomia è la pasta, o meglio gli spaghetti, “shirataki”. Si trovano in vendita a prezzi non proprio modesti, nei negozi bio, nelle erboristerie e nelle farmacie. Non risulta che siano presenti in abbondanza nei negozi di alimentari “comuni” e probabilmente chiedendo questo prodotto al nostro fornitore abituale potremmo ricevere qualche risposta da cui si può intravedere una certa perplessità. Vediamo di cosa si tratta. La materia prima è rappresentata dai “tubercoli” delle radici di una pianta asiatica che si chiama Konjac. Questi tubercoli sono costituiti di materiale fibroso il cui costituente è il glucosomannano.  I “tubercoli” possono essere lavorati e “trafilati” ottenendone un prodotto che ha la forma e la consistenza della comune pasta di farina di frumento. Una caratteristica molto importante è la totale assenza di glutine che rende il prodotto ideale per l’alimentazione delle persone affette da celiachia. Prima però di parlare degli spaghetti “Shirataki” cerchiamo di capire come si è arrivati alla loro produzione e commercializzazione. Le radici di Konjac fanno parte della medicina tradizionale orientale e ad esse sono state attribuite proprietà antidiabetiche e anche anti cancro. In realtà si tratta di un prodotto che non viene assimilato dal nostro apparato digerente e quindi non dà nessun apporto calorico. Invece una volta raggiunto l’intestino le fibre di glucosomannano si rigonfiano e danno un senso di sazietà.  Tale proprietà è stata sfruttata per la formulazione di prodotti dietetici dimagranti, proprio per combattere lo stimolo della fame. Insomma si tratta di un dimagrante che come altre fibre vegetali (come la rusca) blocca l’appetito con uno stimolo “meccanico”. Dalla “compressetta” dimagrante alla pasta “dietetica” (o meglio “Shirataki) il passo è stato breve; infatti cosa c’è di meglio che farsi una abbondante porzione di spaghetti con la certezza di appagare la gola e nello stesso di non dover pagare il contributo alla bilancia? Ed ecco che da un prodotto “parafarmaceutico” si è passati a un alimento magari ammantato di “biologicità”. Bisogna subito ricordare che il “gusto” della pasta è assicurato dal sugo e che se si prepara una “Shirataki” all’amatriciana, eviteremo le calorie della farina di frumento, ma non quelle della pancetta, dell’olio e del pecorino. In ogni caso la fame ci passerà, ma il “Shirataki” si fermerà almeno un po’ nel nostro intestino e potrebbe essere causa di fermentazioni anomale con produzione di gas che possono fuoriuscire rumorosamente dal nostro intestino. Insomma si potrebbe creare qualche situazione imbarazzante. A questo “sgradito”, ma tutto sommato lieve inconveniente, si deve aggiungere il fatto che il “glucosomannano” è in grado di “adsorbire” molte delle sostanze chimiche che gli capitano a tiro e magari anche vitamine, sali minerali, antiossidanti e farmaci rendendoli “indisponibili” per il nostro organismo. Insomma se si prende un farmaco per via orale è bene farlo a qualche ora di distanza dall’ aver mangiato la “Shirataki”, magari sentendo cosa ne pensa il medico.

Allora cosa fare?

Per le persone ammalate di celiachia il consumo di questa pasta è molto sicuro e può essere una ottima alternative ai prodotti senza glutine. Per chi non ha di questi problemi il consiglio è quello di continuare a mangiare la nostra classica pasta di farina di frumento, cercando di limitare seppur con sofferenza le quantità e i condimenti. Ovviamente si può mangiare anche la “Shirataki”, tenendo comunque presente che i vantaggi non sono poi così straordinari e che magari bisogna consultare il medico per evitare qualche inconveniente.
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