Le micotossine negli alimenti: di che si tratta?

Agostino Macrì
22 Luglio 2014
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Con una certa periodicità si scopre che qualche partita di formaggi stagionati è contaminata da micotossine e in particolare con le aflatossine. Le micotossine sono sostanze naturali che si formano durante la crescita di alcuni funghi microscopici denominati miceti: si tratta di quelle che comunemente chiamiamo muffe e che spesso si formano sulla superficie di alcuni alimenti (frutta, pane, formaggi, ecc.) mal conservati. Le muffe sono in grado di produrre migliaia di sostanze chimiche; molte di esse hanno effetti benefici, altre come le micotossine, appunto, possono invece essere molto pericolose. Lo sviluppo delle muffe dipende in gran parte dalle condizioni ambientali e, generalmente, è favorito da temperature elevate come quelle estive associate ad un elevato tasso di umidità. Si tratta di condizioni che si verificano spesso nei campi adibiti alla produzione di foraggi, di cereali e/o di leguminose. Il pericolo maggiore si ha però durante il trasporto, la conservazione e, soprattutto, nella conservazione successiva al raccolto. Il problema può riguardare tutti gli alimenti compresi quelli destinati all’uomo come ad esempio le arachidi, il frumento, i pistacchi. Considerata la potenziale pericolosità delle micotossine, per alcune di esse sono stati fissati limiti di tolleranza, per cui i mangimi, ma anche gli alimenti destinati all’uomo, sono costantemente controllati e le partite che risultano contaminate vengono distrutte. Il controllo dei foraggi freschi e conservati (fieno ed insilati) è più complesso in quanto essi sono prodotti molto spesso dalle stesse aziende in cui sono allevati gli animali e fare dei campionamenti omogenei di materiali da analizzare non sempre è possibile. Esiste quindi il pericolo che qualche partita di foraggio venga inavvertitamente somministrata agli animali. Bisogna considerare che le vacche che producono il latte per la produzione di alcuni formaggi a lunga conservazione, nel rispetto del disciplinare di produzione, sono alimentate prevalentemente con foraggi e ogni capo può mangiarne giornalmente anche più di quindici chili. Gli allevatori fanno molta attenzione alla qualità dei foraggi e fanno del tutto per evitare che quelli ammuffiti vengano consumati dagli animali, ma questo pericolo non sempre può essere escluso anche perché le micotossine possono formarsi anche in assenza di evidenti ammuffimenti. Tra le micotossine, le aflatossine sono ritenute le più pericolose, ma una volta ingerite con i foraggi, nell’organismo degli animali subiscono un processo di trasformazione che in parte le “detossifica”. In ogni caso arrivano anche nel latte a concentrazioni dipendenti dal contenuto nei foraggi e nei mangimi somministrati agli animali: proprio per questo pericolo il latte, sia destinato al consumo diretto, sia quello utilizzato per farne del formaggio, viene controllato e nel caso di accertamento di contaminazione viene scartato. Il campionamento del latte è relativamente più semplice in quanto si tratta di partite omogenee; esiste però il pericolo che le quantità presenti siano molto basse e non visibili con i normali metodi analitici. Il formaggio, costituito prevalentemente da proteine e grassi, è la parte solida del latte in cui vengono a trovarsi anche i sali minerali, le vitamine, altri micronutrienti ed eventuali contaminanti chimici. Con il procedere della stagionatura, che nel caso del parmigiano e del grana padano può essere anche di due anni, si ha un graduale e costante essiccamento e quindi una concentrazione di tutti i costituenti chimici. Il contenuto di acqua può essere anche dimezzato e di conseguenza il contenuto delle sostanze chimiche viene ad essere raddoppiato. Ad esempio se nella cagliata, che è la prima fase della produzione del formaggio, sono presenti 5 microgrammi di aflatossine per ogni kg, nel formaggio stagionato diventano circa 10 microgrammi per kg. Il problema è alle volte di tipo analitico: nel latte o nella cagliata la concentrazione dei contaminanti è molto bassa e comunque tale da non essere rilevata con i comuni metodi di analisi. Al termine della “maturazione” invece è possibile identificarne la presenza ed il formaggio diviene irregolare. Proprio per questo motivo i controlli sono effettuati lungo tutta la filiera di produzione del formaggio e, in caso di positività riscontrata, dimostrano che esiste un’attenzione costante per evitare il consumo di alimenti potenzialmente dannosi. Un controllo simile è fatto per il frumento e per la farina prima che venga lavorata per farne prodotti da forno in modo da evitare che nella pasta, nel pane o nei dolci ci siano contaminanti pericolosi per la salute. Più complessa è la situazione di quei prodotti (frutta secca, arachidi, pistacchi, ecc.) che consumiamo tal quali: anche in questi casi ci sono dei controlli; tuttavia per quelli venduti allo stato sfuso non sempre è possibile conoscere con precisione le modalità e i tempi di conservazione e non sempre i rivenditori hanno l’interesse ad eliminare i prodotti ammuffiti. Ai consumatori si può quindi suggerire di rivolgersi con fiducia ai prodotti trasformati, ed in particolare ai formaggi inclusi quelli stagionati, in quanto esiste un ottimo sistema di controllo delle materie prime. Per quanto riguarda gli alimenti sfusi, soprattutto quelli essiccati, è opportuno un esame visivo per verificare la presenza eventuale di muffe e, in tal caso, evitarne il consumo. (Agostino Macrì)
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