Le diete vegetariana e vegana sono nemiche degli animali?

Agostino Macrì
2 Luglio 2014
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Sono passati circa tre anni da quando Mike Archer, ricercatore australiano, ha pubblicato un articolo in cui sosteneva che seguendo una dieta vegetariana o vegana vengono uccisi più animali rispetto ad una dieta onnivora. Le sue affermazioni erano basate sul fatto che alcuni animali da “carne” (in particolare bovini e canguri) allevati allo stato brado si alimentano prevalentemente con vegetali che l’uomo non mangerebbe mai. Questa condizione non comporterebbe problemi significativi per l’ambiente e gli animali non andrebbero incontro a sofferenze se non al momento della macellazione. Al contrario, per produrre alimenti di origine vegetale è necessario modificare l’ambiente ed anche utilizzare tecniche di coltivazione invasive che sconvolgono il territorio e richiedono l’uso di sostanze chimiche sotto forma di fitofarmaci e pesticidi. L’ecosistema ne verrebbe alterato e la conseguenza sarebbe la morte con gravi sofferenze di un gran numero di animali mammiferi (es. topi) e di invertebrati. Non sono state però considerate le produzioni “biologiche” che non fanno uso di sostanze chimiche “xenobiotiche” ; probabilmente questa mancanza è dovuta al fatto che in Australia sono prevalenti le colture agricole “convenzionali” rispetto alle biologiche”. Il lavoro di Archer è stato oggetto di un accesso dibattito tra animalisti, vegetariani e vegani da una parte e dall’altra movimenti di cittadini con opinioni diverse che non ha portato a risultati concreti per cui tutti sono rimasti con le proprie idee. Il problema dell’impatto ambientale con la produzione ed il consumo degli alimenti è divenuto negli ultimi anni un argomento di grande interesse e di preoccupazione per l’opinione pubblica. La FAO ed altri Organismi stanno seguendo con grande attenzione l’evoluzione delle conoscenze scientifiche nel settore e sono relativamente frequenti degli “aggiustamenti” nelle valutazioni dei rischi ambientali, ma anche alimentari che derivano dai vari tipi di produzioni. Sono stati costruiti diversi modelli di “piramidi” ambientali e/o alimentari che però alle volte riflettono gli interessi, anche economici, di chi li propone. In ogni caso si stanno compiendo numerose ricerche e probabilmente nei prossimi anni sarà possibile avere delle informazioni più accurate e veritiere. Uno degli aspetti più controversi è quello della produzione degli alimenti di origine animale; un argomento abbondantemente impiegato per i detrattori è che l’alimentazione degli animali da allevamento si basa su prodotti (cereali, leguminose, ecc.) che potrebbero essere mangiati direttamente dall’uomo. Chi è invece a favore degli alimenti di origine animale ne esalta il valore nutrizionale e fa rilevare che ne bastano quantità modeste per fare fronte ai propri fabbisogni; in definitiva quindi non ci sarebbero i lamentati grandi sprechi. Un aspetto di non poco conto, peraltro evidenziato dal Prof. Archer, è che gli erbivori (ruminanti in particolare) possono vivere e produrre alimenti per l’uomo senza competere con lui. Questo avviene non solo negli allevamenti allo stato brado dove la sola fonte alimentare è rappresentata dai foraggi, ma anche in molti allevamenti intensivi di bovini da carne e/o da latte dove la fonte alimentare prevalente sono appunto i foraggi freschi o conservati. Gli ovini ed i caprini che si adattano facilmente a diverse condizioni ambientali riescono a dare ottime produzioni con relativi bassi investimenti. Altro aspetto importante è che per produrre foraggi viene utilizzata l’anidride carbonica che, purtroppo, è presente in eccesso nell’atmosfera. Per un corretto calcolo dell’impatto ambientale degli allevamenti dei ruminanti, sarebbe quindi utile misurare non soltanto quanto viene emesso dagli animali, ma anche quanta anidride carbonica gli animali con la loro alimentazione contribuiscono ad assorbire. Con ogni probabilità ci si renderebbe conto che l’impatto ambientale degli allevamenti dei ruminanti è meno drammatico di quanto finora stimato. Bisogna però anche aggiungere che i bovini ruminanti emettono metano che ha scarse possibilità di essere “riciclato” e che è forse il vero elemento critico. Nel nostro Paese la grande tradizione nell’allevamento dei ruminanti è in forte declino e questo comporta gravi conseguenze ambientali ed anche economiche. La ripresa di attività zootecniche nelle tante aree marginali abbandonate potrebbe dare a queste ultime nuova vita e creerebbe un notevole numero di posti di lavoro. Noi tutti siamo però impegnati in altre faccende e quando vogliamo della carne di agnello magari acquistiamo quella proveniente dall’Australia. (Agostino Macrì, da “La Stampa – Cibo e salute”)  
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