La pizza esotica

Agostino Macrì
11 Ottobre 2012
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Sono andato in una pizzeria che assicura di servire una pizza napoletana che non teme confronti con la migliore tradizione partenopea. Appena entrato, non c’era praticamente nessun cliente, sono stato accolto dal proprietario, un simpatico signore di mezza età di nome Franco, con il quale mi sono messo a chiacchierare ed ho chiesto lumi su come veniva preparata la pizza per renderla così buona come c’era scritto sull’insegna. Dopo qualche insistenza da parte mia mi ha fornito alcune delucidazioni. Un primo segreto è la lievitazione che deve durare anche 24 ore a temperatura “leggermente tiepida”. E’ però fondamentale la qualità della farina che viene impiegata: la migliore proviene dal grano Manitoba importato dal Canada e fornisce risultati assolutamente strabilianti. Altrettanto importante è la mozzarella che viene cosparsa sulla pizza. In grande segreto, quasi sussurandomelo in un orecchio, Franco mi dice di aver trovato un caseificio tedesco, che lo rifornisce costantemente che ha trovato una formula quasi miracolosa per preparare la mozzarella e che da risultati fantastici alla cottura, soprattutto al forno a legna. Sollecitato da tanto esotismo gli ho chiesto l’origine del pomodoro e dell’olio di oliva; Franco mi ha confessato di acquistare confezioni grandi dei due prodotti che anche in questo caso soddisfano lui e la sua clientela. Ha però qualche dubbio sull’origine, soprattutto del pomodoro, che forse è cinese. Dubbi li ha anche per l’origine dell’olio che potrebbe essere di qualche Paese del Mediterraneo. Sempre in modo estremamente confidenziale mi dice quanto paga il pomodoro e l’olio di oliva; si tratta di un prezzo veramente basso e ciò insospettisce anche me della possibile origine straniera dei due alimenti. Franco tiene molto alla salute dei propri cliente e per insaporire la pizza usa sale iodato, che previene disturbi alla tiroide e che è di provenienza indiana, naturalmente. Il vero punto di forza della pizzeria è il “pizzettaro”, vincitore di premi culinari che è un egiziano di grande esperienza e valore. A questo punto mi siedo e compare il cameriere che dall’accento si capisce che proviene da qualche Paese dell’Est europeo (forse rumeno), a cui chiedo la classica “margherita” ed una birra. Come di consueto mi arriva subito un bicchiere di ottima birra olandese e poco dopo una fumante pizza con una foglia di basilico dall’incerta origine geografica. A me piace un po’ piccante e chiedo dell’olio al peperoncino; il solerte e gentilissimo cameriere mi porta una bottiglia di olio appunto aromatizzato al peperoncino che è di produzione tedesca. Allora vado a leggere la composizione e leggo che la materia prima “olio extravergine” è di produzione spagnola. Non c’è scritto da dove viene il peperoncino, ma non si può escludere che arrivi dall’Ungheria noto produttore dell’ardente frutto. La pizza, veramente buona, appare magnificamente tricolore così come fu fatta in onore della nostra Regina Margherita (piemontese purosangue); alle volte l’apparenza inganna perché, vista l’origine degli ingredienti e di chi ne ha curato la cottura ed il servizio, i colori dell’iride sarebbero più appropriati. Chissà perché la chiamano “PIZZA NAPOLETANA”
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