Frodi alimentari, quali rischi?

Agostino Macrì
19 Gennaio 2012
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Gli alimenti e l’acqua sono i soli prodotti cui gli esseri viventi non possono assolutamente rinunciare; la loro disponibilità ha condizionato in misura importante lo sviluppo delle diverse civiltà della terra. Dove erano frequenti siccità e carestie le popolazioni hanno avuto un minore sviluppo socio culturale e la ricerca di cibo ha scatenato spesso guerre fratricide. Purtroppo questa situazione è ancora presente in vari paesi sottosviluppati nei diversi continenti ed in particolare in quello africano.

Nella seconda metà del secolo scorso l’agricoltura e la zootecnia hanno subito una profonda evoluzione con l’introduzione di nuove tecniche produttive, lo sfruttamento intensivo delle aree geografiche e l’introduzione delle monocolture;  ciò ha portato ad un enorme incremento della disponibilità di materie prime alimentari. Si sono anche sviluppate tecniche innovative di trasporto, conservazione e trasformazione degli alimenti che hanno portato alla nascita di una fiorente industria alimentare e favorito la globalizzazione dei mercati del cibo. La globalizzazione è gestita prevalentemente da grossi gruppi economici multinazionali regolando i flussi sia delle materie prime alimentari di origine vegetale ed animale che dei prodotti trasformati verso i mercati per la distribuzione diretta ai consumatori. Queste regole favoriscono i Paesi ricchi che dispongono di infrastrutture e di risorse economiche adeguate, ma penalizza fortemente i Paesi più poveri che non sono in grado di gestire adeguatamente la distribuzione del cibo e, soprattutto, non hanno la possibilità di pagarlo. In questa situazione le produzioni tradizionali e tipiche trovano grosse difficoltà ad inserirsi nei grandi mercati a causa sia delle modeste quantità che vengono prodotte, sia degli inevitabili elevati costi di produzione che di fatto le rendono non competitive rispetto alle produzioni industriali.

Produzione nazionale Il nostro Paese produce alimenti di qualità con radici antiche derivanti dalla tradizione contadina che nel corso dei secoli ne ha ideato una incredibile quantità con caratteristiche organolettiche e nutrizionali di grande pregio; questi alimenti da secoli sono parte integrante della dieta mediterranea che nell’Italia peninsulare e nelle isole ha trovato la sua massima evoluzione. Si tratta di cereali, in particolare frumento, di frutta, verdura, latte, carni utilizzati come materie prime per la trasformazione in alimenti che oggi definiamo “tipici”. Molti (pomodoro, melanzane,patate, mais, ecc.) sono stati importati dopo la scoperta dell’America, ma si sono adattati al nostro territorio e la loro coltivazione è quanto mai fiorente. Sono state anche sviluppate tecniche di trasformazione e conservazione che hanno permesso, in funzione della località da cui provengono, di ottenere centinaia di vini, oli,  formaggi, salumi, conserve, ecc. che rappresentano il vanto delle nostre regioni. Molte di queste produzioni sono state “industrializzate” per cui esiste una buona disponibilità per il consumo su larga scala. Molte altre produzioni, che rappresentano la maggioranze, sono invece molto contenute e non sempre riescono ad essere presenti sul mercato in quantità sufficiente da raggiungere la massa dei di consumatori.

Distribuzione degli alimenti Il sistema della distribuzione degli alimenti attraverso un una miriade di piccoli esercizi commerciali specializzati per tipologie merceologiche (panettiere, lattaio, macellaio, fruttivendolo, ecc.), è stato in gran parte sostituito dalla grande distribuzione e da negozi polifunzionali. Una realtà importante è rappresentata dai mercati rionali che danno l’opportunità di acquistare in una stesso luogo praticamente tutti gli alimenti di cui si ha bisogno. Sono in corso tentativi di vendita di prodotti a chilometro “zero” che dovrebbe assicurarne la freschezza ed anche un costo inferiore. Sta inoltre diffondendosi il sistema della vendita porta a porta  di alimenti che ditte specializzate consegnano a seguito di una semplice richiesta telefonica. Anche la tipologia degli alimenti messi in vendita sta subendo delle profonde modificazioni ; infatti sempre più frequentemente si ricorre all’acquisto di prodotti trasformati pronti per l’uso immediato oppure con un semplice trattamento termico, magari a microonde. Molto importante è anche la presenza dei prodotti di quarta gamma soprattutto come insalate e frutta che possono essere mangiati senza doverli tagliare, pulire e lavare.

Modello produttivo nazionale La particolare condizione geografica del nostro Paese condiziona le capacità produttive agrozootecniche. Infatti le zone pianeggianti ed irrigue in grado di produrre abbondanti quantità di materie prime alimentari sono molto meno di quelle collinari e montuose dove è più difficile coltivare piante o allevare animali. Gran parte del nostro territorio è frammentato in aziende agricole di pochi ettari che non consentono produzioni quantitativamente elevate e tali da fare fronte alle grandi richieste che arrivano dall’industria alimentare e dalla grande distribuzione. Questo problema potrebbe essere risolto con una maggiore cooperazione tra i produttori agricoli. Purtroppo invece sono rari gli esempi di consorzi e cooperative; quei pochi esistenti (mele del Trentino, Parmigiano Reggiano, Grana Padano ad esempio) danno ottimi risultati, ma purtroppo sono per il momento scarsamente imitati. L’organizzazione delle infrastrutture è molto lacunosa e non sono rari i casi di ottimi prodotti che non trovano sbocchi ne per il consumo diretto che per la conservazione e la trasformazione industriale; alle volte questi prodotti vengono addirittura distrutti. Un altro aspetto è rappresentato dalla mancanza di manodopera nazionale e si può affermare con certezza che alcune produzioni (pomodoro, frutta, latte ovino e bovino,  ecc.), non sarebbero possibili se non ci fossero lavoratori stranieri. D’altra parte le produzioni nazionali non vengono molto incoraggiate. Basti pensare a quello che sta avvenendo in Sardegna dove i pastori chiedono un adeguato sostegno per la loro attività che rappresenta uno dei maggiori sostegni all’economia dell’isola senza essere ascoltati. Il risultato di questa situazione è che per la nostra alimentazione in modo diretto o indiretto, importiamo almeno il 50 % di quello che mangiamo. A questa carenza produttiva nazionale bisogna aggiungere che molti imprenditori agricoli italiani hanno trasferito le loro attività in altri Paesi dove le regole sanitarie sono meno rigorose che in Italia. Ci sono quindi degli italiani che gestiscono importanti attività agricole e zootecniche “esportando” le loro produzioni in Italia e non si può escludere che vengano marchiati come nazionali.

Produzione alimentare industriale Il nostro Paese ha un’ottima organizzazione produttiva industriale che trova la sua forza nei prodotti da forno (soprattutto pasta e prodotti dolciari), nei salumi, nei formaggi, nel vino, nelle salse e tanti altri alimenti conservati. Il vero problema è che la nostra industria alimentare per poter produrre alimenti “made in Italy” deve acquistare le materie prime dall’estero. Non è un mistero che l’Italia importa oltre il 50 % del latte, della carne bovina, della carne suina, del pesce, del frumento, ecc. di cui ha bisogno e che gran parte di quello che viene importato viene “assorbito” dall’industria alimentare. Le industrie alimentari riescono ad importare dai mercati internazionali materie prime a prezzi relativamente modesti; grazie alla  organizzazione nazionale vengono prodotti alimenti di eccellenza “made in Italy” che in parte vengono esportati quello con ottimi profitti che hanno un peso importante per la nostra economia. E’ evidente che la situazione è al momento favorevole, ma il costo delle materie prime potrebbe subire delle impennate ed a questo punto la nostra industria alimentare potrebbe trovarsi nella impossibilità di reggere alla concorrenza straniera. Alcune aziende alimentari stanno delocalizzando il loro impianti in Paesi in cui è più facile avere accesso alle materie prime ed inoltre il costo della manodopera è più basso rispetto al nostro Paese; questa situazione può comportare la produzione di alimenti aventi le caratteristiche di quelli nazionali, ma che non possono essere denominati “made in Italy”. Un altro serio problema è che molti paesi stranieri, ed in particolare la Cina, stanno acquisendo tecnologie ed esperienza dalla nostra industria e quindi in un futuro non troppo lontano potrebbero produrre alimenti identici a quelli italiani a costi inferiori anche perché hanno materie prime di produzione locale. Di avvisaglie di questa situazione ce ne sono molte. Ad esempio in Cina hanno fondato una città che hanno chiamato Parma in modo da poter fare un prosciutto di quella località e che denomineranno “prosciutto di Parma”. Sempre restando a Parma ricordiamo la battaglia (per ora vinta) di proibire da far chiamare “Parmesan” un formaggio prodotto in vari paesi del mondo e che è molto simile al Parmigiano. I marchi italiani sono molto apprezzati dai mercati e questo fenomeno non è sfuggito ai gruppi straniere che hanno acquistato intere industrie alimentari italiane potenziando e migliorando le capacità produttive per poi vendere i loro prodotti in tutto il mondo. Non sono rari i casi di aziende alimentari situate sul territorio italiano, ma di proprietà straniera, che lavorano materie prime di importazione per trasformarle in alimenti che vengono venduti come “made in Italy”. In realtà per questi prodotti di italiano c’è soltanto il suolo su cui sono collocati gli stabilimenti e parte dei lavoratori. Infatti le tecnologie di trasformazione spesso frutto di ricerca industriale fatta in importanti Centri che soltanto le grandi multinazionali possono condurre.

Della dipendenza dalle materie prime ne risente pesantemente la nostra zootecnia che per nutrire gli animali deve importare soia e cereali da altri Paesi. E’ evidente che le nostre carni, latte ed uova hanno quindi dei costi di produzione più elevati dei concorrenti stranieri che possono disporre di materie prime a prezzi più contenuti. Il risultato è che molte aziende zootecniche nazionali stanno chiudendo.

Difesa del “made in Italy” Uno dei primi mezzi utilizzati per difendere i prodotti alimentari italiani è stato quello di definire dei marchi di origine. Per ottenere un marchio di origine è necessario definire la procedura di produzione, quale tipo di controlli vengono effettuati per garantirne l’autenticità oltre che ovviamente descriverne le caratteristiche organolettiche e nutrizionali. La documentazione viene esaminata dalle competenti Autorità della UE che se sussistono i requisiti previsti concedono il marchio. Nell’Unione Europea ogni Paese ha i suoi prodotti alimentari “marchiati” come DOP, DOG, ecc., che consentono di identificare specifici alimenti ed a caratterizzarli come provenienti da specifiche aree geografiche. Non tutti questi prodotti, anche se “marchiati” sono totalmente espressione di uno specifico territorio  in quanto le materie prime provengono da aree geografiche diverse. Un esempio è la bresaola della Valtellina che, pur avendo un marchio di origine, è ottenuta utilizzando carni bovine importate dal Sud America.

Gli alimenti che vengono esportati con la dicitura “made in Italy” sono nella maggior parte prodotti industrialmente mentre quelli di “nicchia”, di produzione artigianale, raggiungono mercati selezionati e disposti a pagare cifre anche importanti. Quello che si può osservare nei mercati internazionali è di trovare delle confezioni di alimenti tradizionali del nostro Paese (salumi, pasta, formaggi, conserve, ecc.) in cui sono raffigurati uno o più simboli italiani (il tricolore o l’immagine di qualche monumento o città), ma che sono stati prodotti in altri Paesi. Leggendo attentamente le etichette, magari scritte in caratteri minuscoli, si può leggere che questi alimenti non sono stati prodotti in Italia.

Il consumatore straniero viene quindi tratto in inganno e potrebbe essere convinto di acquistare un prodotto “made in Italy”, mentre in realtà acquista un alimento “italian style”.

Esistono anche delle imitazioni clamorose delle produzioni italiane come, ad esempio, in Australia è stata creata una “via del Prosecco” in una zona a vocazione vinicola.

Non bisogna però dimenticare che anche nel nostro Paese ci sono situazioni in cui il consumatore è convinto di acquistare un prodotto italiano, mentre in realtà ne acquista uno interamente di importazione. Un esempio è rappresentato da alcune marche di tonno in scatola che è totalmente prodotto in alcune località che si affacciano sull’Oceano Indiano, ma che hanno una etichetta italiana.

Lotta alla contraffazione La lotta alla contraffazione deve essere rivolta sia sul versante straniero che su quello italiano.

Su quello straniero il lavoro da fare è veramente complesso perché bisogna dimostrare che mettere il simbolo del tricolore oppure un nome italiano come marca di una confezione di pasta prodotta in qualsiasi paese del mondo non è consentito. E’ ovviamente più semplice contrastare la presenza di alimenti “copia” venduti con una falsa etichettatura; in questi casi l’azienda italiana copiata può intervenire efficacemente ed è necessario un completo sostegno da parte delle nostre Autorità nell’affrontare complesse azioni legali in Paesi che magari non prevedono questo tipo di reati.

La lotta alla contraffazione in Italia è apparentemente più semplice e sembrerebbe essere sufficiente imporre delle etichette in cui è indicata l’origine degli alimenti. Il nostro Governo ha infatti varato un provvedimento in tal senso che è stato anche in parte fatto proprio dall’Unione Europea.

L’indicazione del luogo di origine degli alimenti è relativamente semplice quando si tratta di “materie prime”, come ad esempio la frutta, la verdura o la carne fresca. Diviene molto più complicato quando si ha a che fare con alimenti trasformati in cui sono presenti magari diversi ingredienti (ad esempio salumi come la mortadella, alimenti precotti, yogurt alla frutta, ecc.) di diversa origine. Certamente nella etichetta di una mortadella è difficile poter scrivere da dove arriva la carne suina, quella bovina, quella equina, il pistacchio ed i vari altri additivi che vengono aggiunti. E’ ancora più complicato poter effettuare delle analisi per accertare la veridicità delle etichette. Il controllo è il tallone di Achille di molti provvedimenti legislativi in quanto non sempre sono disponibili metodi di analisi adeguati per verificare quanto previsto nelle etichette. Per un ignaro consumatore è praticamente impossibile verificare la validità di una dichiarazione sull’origine geografica di un maiale da cui è stato ottenuto un prosciutto italiano. Ma è altrettanto impossibile verificare se i fagiolini dichiarati italiani lo sono davvero oppure sono stati coltivati in Egitto. Le difficoltà divengono poi del tutto insormontabili quando si tratta di prodotti trasformati.

Conclusioni Alla base della contraffazione degli alimenti italiani c’è sicuramente una debolezza del nostro sistema produttivo alimentare primario, ma anche un eccesso di richiesta di cibo da parte della nostra popolazione che ha come conseguenza la necessità di importare notevoli quantità di derrate alimentari. Il primo provvedimento da attuare è quello di rivitalizzare la nostra agricoltura e la zootecnia con l’attivazione di misure di intervento tra le quali si suggeriscono le seguenti:

  • Sviluppo di metodologie per l’incremento delle produzioni agricole vegetali ed animali. In particolare andrebbero verificate le possibilità delle applicazioni delle biotecnologie (OGM, clonazione, ecc.).
  • Valorizzazione delle aree “marginali” (colline, montagne, bacini idrici) ai fini produttivi nel rispetto dell’ambiente.
  • Sviluppo di tecniche innovative per l’utilizzazione delle materie prime alimentari.
  • Sviluppo di tecniche per l’utilizzazione dei sottoprodotti dell’agricoltura, della zootecnia e dell’industria alimentare che attualmente vengono distrutte.
  • Sviluppo di impianti di trasformazioni versatili ed adattabili alla stagionalità delle produzioni primarie.
  • Sviluppo di sistemi alternativi all’attuale sistema di autocontrollo aziendale attualmente troppo costoso.
  • Facilitare la cooperazione agricola.
  • Definizione di un programma di educazione alimentare rivolto ai consumatori finalizzato ad una migliore utilizzazione del cibo.
  • Studio dei problemi sanitari e nutrizionali correlati con gli alimenti e l’alimentazione. Questa attività di ricerca è strategica in quanto sulla base dei risultati che verranno ottenuti sarà possibile rivedere i criteri per la sicurezza alimentare ed anche meglio organizzare le attività di controllo degli alimenti.

Roma, 19 novembre 2011 

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