La peste suina africana in Cina riguarda anche noi?

Agostino Macrì
12 Novembre 2019
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Il mondo della suinicoltura e quello dell’industria salumiera stanno attraversando un momento piuttosto complesso a causa della “peste suina africana” (PSA). Si tratta di una malattia virale altamente infettiva che colpisce i suidi (suini e cinghiali in particolare) provocandone anche la morte.  Non esistono vaccini in grado di prevenirla e non ci sono neanche farmaci in grado di curarla.

Si sottolinea che la PSA non provoca danni all’uomo.

Si tratta quindi soltanto di un problema per i suidi e l’unico modo per evitarne la diffusione è quella di eliminare tutti gli animali degli allevamenti “infetti” e presenti nell’area circostante e di distruggerli mediante incenerimento. Si debbono ovviamente evitare le movimentazioni degli animali.

Basti pensare che in Sardegna dove la malattia è comparsa mezzo secolo fa, è ancora proibito “esportare” suini e carne suina perché sembra che ci siano dei cinghiali infetti e portatori del virus della PSA.

La Cina è il Paese che consuma nel mondo la più grande quantità di carni di maiale ed è anche il maggiore produttore; il suo patrimonio zootecnico ammonta a circa 440 milioni di suini. Le sue capacità produttive sono cosi elevate grazie all’organizzazione di allevamenti intensivi di avanzata tecnologia e anche al basso costo del lavoro. Un aspetto non trascurabile è il costo molto contenuto delle carni suine. Gli allevatori di tutto il mondo, inclusi quelli italiani,  per restare nel mercato si sono dovuti adeguare e alle volte hanno dovuto vendere i loro suini a prezzi scarsamente remunerativi.

I prezzi contenuti delle carni suine hanno favorito la nostra industria salumiera che, di fatto, è riuscita a produrre eccellenti alimenti a sua volta a prezzi contenuti e tali da favorire non solo i consumi interni, ma anche le esportazioni.

Purtroppo gli allevamenti cinesi sono stati colpiti dalla PSA ed è stato necessario adottare le drastiche misure di prevenzione sopra descritte che, di fatto, hanno portato all’abbattimento e alla distruzione di oltre ottanta milioni di maiali.

La contrazione della disponibilità della carne di maiale ne ha comportato un aumento dei prezzi e di questo ne hanno beneficiato gli allevatori che hanno visto aumentare i loro margini di guadagno.

Il rovescio della medaglia è rappresentato  dai disagi che deve sopportare l’industria salumiera a causa dell’aumento dei costi della materia prima.

Si può quindi ragionevolmente temere un aumento dei costi sia delle carni fresche di maiale, sia e soprattutto dei salumi.

Anche se ci vorrà del tempo, la PSA in Cina verrà debellata e la situazione tenderà a normalizzarsi. Dobbiamo però essere coscienti che la salute degli animali e delle piante possono condizionare i nostri consumi e anche la nostra vita.

Non si possono dimenticare la “mucca pazza”, l’influenza aviare, la “lingua blu” degli ovini, la xilella dell’olivo e tante altre malattie degli animali o delle piante che, pur non avendo un effetto diretto sulla salute umana, creano situazioni di crisi produttive con conseguenze di carattere soprattutto economiche che alla fine pesano sulle tasche dei consumatori.

Il nostro Paese purtroppo non è autosufficiente per la produzione di materie prime alimentari ed è costretto a importarne notevoli quantità. Dobbiamo imparare ad affrontare le situazioni di emergenza nella consapevolezza che il  nostro cibo, anche se non rigorosamente “made in Italy”, è sicuro.

Ricordiamo infine che le crisi alimentari di altri Paesi, come la PSA, possono in modo indiretto condizionare i nostri consumi.

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