Il vero prosecco

Agostino Macrì
22 Gennaio 2014
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E’ passato da poco il Capodanno, tappa obbligatoria dove anche gli astemi usano stappare bottiglie di spumante per il brindisi. Le statistiche dicono che l’80% ha brindato con spumanti italiani, di sicuro il 40% degli italiani ha brindato con il Prosecco. Questo spumante, ottenuto da uve autoctone (Glera), deve il suo successo alla facile “bevibilità”. Solitamente ha una gradazione alcolica moderata, una buona acidità che si trasforma in “freschezza” al palato, che induce il consumatore  a berlo in varie occasioni, dall’aperitivo al dessert. Esistono in effetti varie tipologie di questo spumante, classificate in base agli zuccheri e si parte dal più secco Brut fino al più morbido Dry. In tutto lo Stivale, ma sempre di più anche all’estero (la Germania è il primo consumatore dopo l’Italia), viene richiesto al bar da degustare in piedi conversando con gli amici. Proprio come succede con i prodotti di largo successo, anche con il Prosecco ci sono innumerevoli tentativi di “imitazione” o addirittura di frode. Ecco i consigli per chi volesse bere del vero Prosecco. Proprio per contrastare le frodi, negli ultimi anni la legislazione nei confronti della produzione del Prosecco si è fatta più rigida. I territori storici (Conegliano, Valdobbiadene, Asolo) si possono fregiare della Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG). Si è allargata invece la zona di produzione DOC, ovvero il Veneto, ad esclusione delle province di Rovigo e Verona e l’intero Friuli. Tra l’altro con un escamotage, ma assolutamente in buona fede, si è voluta includere la piccolissima frazione di Prosecco, nei pressi di Trieste a ridosso della Slovenia. C’era infatti stata una diatriba con l’Ungheria per il nome “Tocai”, e, in sede della Comunità Europea, si era deciso che i vini dovessero prendere nome dalla zona di produzione; il Prosecco, essendo all’epoca una uva e non una zona,  poteva incorrere nel pericolo di venire prodotto e commercializzato in altri territori dell’Europa. Il Prosecco si può trovare solo in bottiglia ed unicamente nelle versioni DOC e DOCG, ben caratterizzato da una fascetta apposta sul collo della bottiglia. Niente fascetta, niente Prosecco. Possono concorrere alla “cuvee” del Prosecco solo il 15% di altri vitigni, ben indicati nel disciplinare. Al contrario, non possono essere messi in commercio vini che dichiarano di avere compresa nella cuvee il Prosecco, come succedeva precedentemente quando per ovviare ai costi si tendeva ad usare cuvee comprendenti il nobile vino insieme ad altri. Le leggi di mercato, la nuova regolamentazione (leggi fascetta) e l’effettivo costo di produzione (la maggior parte e soprattutto la qualità migliore si ottiene in collina con tutto quello che ne consegue ) hanno fatto lievitare i prezzi in maniera esponenziale. Alcune cantine anche tra le più rinomate, o forse proprio forti del fatto che i loro spumanti erano considerati sinonimo di Prosecco, hanno così cominciato a spumantizzare altri vitigni che, nella loro confezione tipica dello spumante, riportano nomi di fantasia. Succede quindi che al bar chiediamo Prosecco e ci viene servita invece un’altra cosa. Non discutiamo se sia migliore il Prosecco o, ad esempio, lo Chardonnay spumantizzato: è una questione di marchio e frode. Quando chiediamo Prosecco, come succede per altri marchi, ci deve essere servito quello che abbiamo espressamente richiesto. Alla nostra richiesta di Prosecco dobbiamo quindi verificare che ci venga servito dalla bottiglia (niente spina o altri contenitori), che nella bottiglia stessa ci sia la fascetta, e, se invece lo acquistiamo dallo scaffale, oltre alle suddette indicazioni, che il prezzo non sia inferiore ai 6 euro per la DOCG e non meno di 5 euro per la DOC. Perché se è vero che c’è il reato di frode alimentare esiste anche quello dell’incauto acquisto. Salute a tutti! Autore: Fabio Capacchione
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